Probabilmente sui social avete letto frasi come: “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso” (frase attribuita a Eleanor Roosvelt) oppure: “non permettere a nessuno di farti del male”. Sembrano frasi di empowerment, ma in realtà nascondono un problema.
Avete mai pensato che frasi come queste nascondono, in realtà, una colpevolizzazione sottile? Dicendovi che siete voi il problema se permettete agli altri di ferirvi, vi si dà tutta la responsabilità del dolore. Come se davvero si potesse decidere se farsi far male da qualcuno oppure no. Come se stare male fosse una scelta.
In realtà non diamo il permesso a nessuno di ferirci. Succede e basta. Le persone tradiscono, abbandonano, ignorano, si fanno distanti, si lasciano andare alla rabbia, colpiscono con le parole. Perché dovremmo essere corresponsabili del dolore che ci è stato dato? Queste cose fanno male, punto e basta. E non possiamo non provare dolore.
Dietro la facciata rassicurante, insomma, queste frasi sono insidiose. Il risultato è che diciamo a noi stessi cose come: “Sono troppo sensibile”, “Questo non dovrebbe toccarmi così tanto”. Entriamo così in un processo di auto-invalidazione in cui cerchiamo di negare i nostri stessi sentimenti, disconnettendoci dal nostro dolore. Ma reprimere le emozioni non aiuta a guarire! Solo ascoltando il dolore, permettendosi di viverlo e chiedendo aiuto è possibile uscire dal tunnel.
Chi crede alla possibilità di crearsi uno “scudo emotivo” che regga ogni attacco passa il tempo a lavorare su se stesso, ma probabilmente in modo sbagliato. La chiave non è cercare di rendersi invulnerabili, ma imparare a gestire il dolore. In altre parole: non possiamo evitare che certe cose ci facciano male, ma possiamo cercare di lenire la sofferenza.
Ecco alcuni suggerimenti che possono aiutare a gestire nel modo giusto le ferite inferte dagli altri:
Dire “non permetterò a nessuno di ferirmi” è ben diverso dal dire: “imparerò cosa fare quando qualcuno mi ferisce”. Nel primo caso si insegue il controllo, nel secondo caso ci si prende la responsabilità del proprio comportamento di fronte a situazioni difficili. Anche se la prima strada sembra più semplice, il problema è che è poco praticabile. La miglior preparazione contro le avversità non sta nel negarle, ma nel cercare di mantenere la barra dritta quando capitano.
Invece di colpevolizzarsi, è bene aiutarsi. Il migliore esercizio per farlo consiste nel guardarsi da fuori, osservando se stessi come si osserverebbe un amico in difficoltà. In seguito, bisogna fare per se stessi le stesse cose che si farebbero per aiutare il proprio migliore amico.
Si dice sempre che l’esperienza insegna, e chi sperimenta la sofferenza più profonda spesso ne esce migliore. Chi vede ogni criticità come un’opportunità di crescita ha meno rischi di lasciarsi andare dopo una pesante delusione. Vedere il potenziale insegnamento che si cela nel dolore non significa negare la sofferenza che si prova, e nemmeno feticcizzarla, ma significa cercare quel barlume di luce che si vede lontano, appena fuori dal tunnel.
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