Gli introversi guardano verso l’interno: sono molto attenti a ritagliarsi spazi per se stessi e prediligono la solitudine. Gli estroversi, al contrario, guardano verso l’esterno: hanno bisogno di frequenti momenti di condivisione e trovano la loro dimensione naturale nel contatto con gli altri. Ti riconosci in una di queste etichette? Forse sì, forse no. Alcune persone non si sentono né introverse né estroverse: amano connettersi con chi hanno intorno senza disdegnare momenti di tranquillità e introspezione. A volte si sentono fuori posto proprio perché vivono in un mondo interiore “doppio”, caratterizzato da un equilibrio in costante dinamismo. Queste persone, secondo la psicologia, sono “otrovertite”, ossia caratterizzate dall’”otroversione”.
Parliamoci chiaro, non è che gli introversi non amino entrare in contatto con le persone, specie se si tratta di amici intimi con cui instaurare una connessione profonda. E non è che gli estroversi non amino, qualche volta, stare da soli e contemplare semplicemente il mondo che hanno intorno. Ma gli otrovertiti sentono di non collocarsi né dall’una né dall’altra parte perché sono costantemente combattuti tra la folla e l’isolamento. Non sono strani, hanno semplicemente un modo diverso di stare al mondo.
Il termine otroversione è stato coniato dallo psichiatra americano Rami Kaminski, che ha riconosciuto questa caratteristica in se stesso. Quando era piccolo, durante la “promessa” scout, si accorse che i suoi compagni erano profondamente emozionati nel vivere quel momento di forte energia collettiva. Lui, al contrario, non provava nulla. Non si sentiva attivato dalla dimensione del gruppo ma non percepiva un desiderio di isolarsi. Si sentiva, piuttosto, nel mezzo, profondamente indipendente, diverso. Gli otrovertiti spesso sono persone molto speciali e seguono una traiettoria unica, che non coincide con quella della maggioranza.
Nelle società umane il bisogno di far parte di un gruppo è sempre molto sentito. La maggioranza delle persone si sente soddisfatta solo quando è accolta in un contesto che la fa sentire al sicuro. Infatti gli introversi spesso hanno non pochi problemi. Ma anche gli otrovertiti si trovano un po’ in difficoltà, perché non si sentono pienamente a loro agio nella dimensione collettiva. Apprezzano il contatto con gli altri, ma non aderiscono pienamente ai gruppi perché non si connettono emotivamente in modo spontaneo. Sono indipendenti, seguono una terza via.
Ma questo, secondo Kaminski, non è un tratto da correggere o da considerare problematico. Secondo lui, anzi, tutti nasciamo otrovertiti, ma poi con il tempo impariamo a calarci nella logica del gruppo “normalizzandoci”. Conservare la propria otroversione anche da adulti consente una libertà emotiva unica.
Se pensi di essere otrovertito, sappi che non sei l’unico. Illustri personalità sono state, secondo Kaminski, caratterizzate dall’otroversione. I nomi più famosi sono Frida Kahlo, Franz Kafka, Albert Einstein e George Orwell. Queste persone non si sono mai sentite legate a gruppi, ma non si sono nemmeno ritirate in una dimensione privata come è successo, per esempio, a Schopenauer. Hanno semplicemente sperimentato una socialità libera, senza schemi fissi, caratterizzata dall’autonomia, anche a costo di non sentirsi capite.
L’otroversione potrebbe essere una risorsa preziosa nel mondo contemporaneo, perché rinnega la logica dell’appartenenza ma è in grado di formare persone acute, in grado di dare qualcosa di prezioso alla collettività (alla quale non sentono di appartenere fino in fondo, ma ciò non vuol dire che non possano partecipare con il loro ingegno).
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