Il suo nome significa, in francese, “sarto”, tailleur infatti indica il sarto uomo che alle origini era il solo a confezionare l’abito in quanto il suo taglio rigoroso rimandava ad un abito prettamente maschile.
Infatti, sempre a Parigi, nel 1877 l’attrice Sarah Bernhardt che recitava spesso in ruoli maschili, indossò per prima un tailleur pantalone fatto su misura e creò scandalo all’epoca, in quanto il suo corpo risultava assottigliato e la linea evidenziata; si iniziava a scalfire la linea divisoria tra abbigliamento maschile e femminile.
Ma fu nel 1885 che il tailleur venne confezionato appositamente per una donna: il sarto John Redfern realizzò infatti il primo tailleur per la Principessa Alessandra del Galles che lo usò come abito da viaggio e lanciò così la moda. Il capo era composto da una giacca di fattura maschile e da una gonna lunga e senza fronzoli. Così come si presentava, il tailleur era preso come un abito informale, da svago, fatto per le uscite di giorno e, per le signore dell’alta società, valeva anche come tenuta da equitazione; spesso era completato da altri indumenti o accessori maschili quali il gilet o la cravatta, in versione man-like.
Fu Coco Chanel nel 1917 a reinventare completamente il tailleur, non particolarmente comodo agli esordi, e a trasformarlo in un capo confortevole e morbido, questa volta in versione lady-like. Il tailleur Chanel era formato da una giacca più aderente al corpo, dotata di ampie tasche, la gonna era diritta e sotto il ginocchio. I tessuti utilizzati erano jersey, tweed, seta o velluto e l’abbinamento era previsto solo con una camicia bianca.
Nel 1947 Christian Dior lancia il tailleur Bar che dopo le figure rigide del tempo di guerra si rifaceva ai canoni femminili del passato: guepière, stringi vita e fodere di tulle in organza per sostenere le gonne plissé. Simbolo della nascita del New Look, il capo proposto da Dior trovò la resistenza della corrente Chanel. La stilista, in reazione, reinventò infatti il suo tailleur: negli anni ’50 esso era composto di tre pezzi: giacca-cardigan impreziosita da bottoni dorati, gonna lunga fino al ginocchio e una camicia il cui tessuto era coordinato con la fodera del tailleur.
Le due correnti stilistiche lasceranno il passo all’emancipazione femminile degli anni ’70, resa visibile nel tailleur pantalone o smoking da donna, lanciato nel 1966 da Yves Saint Laurent. L’onda funky lo renderà meno serioso: non solo tinta unita ma stampe e l’uso di tessuti più “hippies” come velluto e patchwork.
Verso la fine degli anni ’70 e nei successivi anni ’80 Giorgio Armani ridiede nuovo slancio al tailleur, cavalcando il fenomeno professionale delle “donne in carriera”. Nell’ambito del Made in Italy che si andava affermando in quegli anni, egli lanciò la cosiddetta giacca disossata, per uomo e per donna, ovvero un capo senza imbottiture che cadeva morbidamente sul corpo.
Infine negli anni ’90 altri stilisti come Versace e Dolce & Gabbana procedono rispettivamente ad accorciare le gonne e utilizzare colori più femminili e a dare ampio spazio al tessuto gessato, “rubandolo” al guardaroba maschile.
La storia del tailleur è una storia di progressiva emancipazione e come tale si trasforma: da capo per i viaggi e le vacanze a divisa da lavoro per una donna che si riscatta e scala il potere; simbolo di eleganza, sobrietà e raffinatezza ma anche di sensualità e seduzione. Un abito "vecchiotto" certo, ma che non è mai sparito, partito come “appropriazione indebita” ma diventato uno dei caposaldi dell'abbigliamento femminile nella storia della moda.