La gelosia è un sentimento presente fin dall’antichità, ma con modalità diverse dalle nostre: infatti, anche se ha radici nella nostra essenza umana, le vie attraverso cui si esprime sono influenzate dalla cultura di appartenenza.
Nell’antica Grecia e a Roma, per esempio, la gelosia era considerata un sentimento solo femminile, perché le donne erano viste come esseri deboli. L’uomo, di fronte a un tradimento della moglie, non avrebbe dovuto provare gelosia: si sarebbe al massimo dovuto arrabbiare per aver visto la propria autorità messa in discussione. Se la moglie era vista come una proprietà del marito, il sentimento che poteva esserle rivolto non arrivava a diventare una vera e propria gelosia.
Una rappresentazione emblematica della gelosia femminile nell’antichità è la tragedia Medea di Euripide: qui la donna, accecata dalla rabbia per il tradimento del marito Giasone, uccide i figli avuti da lui. Gli specialisti ci dicono che in antichità la prole era considerata, tanto quanto la donna, una proprietà del padre di famiglia: uccidere i bambini significava causare un danno principalmente a lui. Gli studiosi credono che oggi accada esattamente il contrario: sembra che gli uomini quando uccidono la propria compagna e insieme a lei anche i figli vedano questi ultimi come una proprietà della donna (tant’è che nei casi di separazione di norma l’affido va a lei).
In età romana la fedeltà coniugale (soprattutto da parte femminile) era esaltata al massimo grado. Si narra che Lucrezia, moglie di Tarquinio Collatino, fu violentata dall’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, uccidendosi subito dopo perché non poteva sopportare l’oltraggio subito. Questa vicenda indignò talmente tanto il popolo che, secondo la leggenda, contribuì alla cacciata dell’empio re. La macchia sulla donna che tradisce, insomma, è impossibile da lavare: al marito spetta la vendetta e a lei, al massimo, ciò che chiamiamo gelosia.
Sembra che l’assetto patriarcale romano e alcuni aspetti della leggenda di Lucrezia siano vivi ancora oggi: gli psicologi ci riferiscono che, in seduta terapeutica, spesso le donne si colpevolizzano per aver tradito mentre, se a tradire è il loro compagno, ritengono di doverlo perdonare.
Il cristianesimo rivaluta il ruolo della donna, e in particolare della donna “peccatrice” di adulterio. Il celebre motto di Gesù “chi è senza peccato scagli la prima pietra” vuole riequilibrare un assetto che per secoli è stato totalmente sbilanciato. Forse è qui che comincia un’idea di dovere coniugale condiviso, di “colpa” condivisa e quindi anche la possibilità di una gelosia maschile. Anche nella società ebraica precedente si pensava infatti che la gelosia fosse “roba da donne”.
Il più famoso testo letterario sulla gelosia presente nel mondo cristiano è certamente Otello di Shakespeare: qui a provare tale sentimento è un uomo, non una donna. Mentre lentamente, nella civiltà cristiana, si faceva strada l’idea che la donna non fosse una proprietà del marito ma una compagna dotata di diritti, la gelosia iniziava ad allargarsi ai maschi, senza soppiantare però del tutto la modalità aggressiva di ristabilimento dell’autorità in caso di tradimento. Purtroppo, ancora oggi assistiamo a queste modalità che non sono mai del tutto scomparse nemmeno dopo la rivoluzione sessuale.