Darwin direbbe che la competizione, la lotta per la sopravvivenza, è l’anima della natura; Marx direbbe che la storia dell’uomo è essenzialmente una storia di lotte (tra le classi). Difficile dare torto a questi due pensatori, almeno nella profonda sostanza delle loro idee. La competizione esiste in natura ed è spietata. Per gli uomini come per gli animali.
Solo che nel ventunesimo secolo, anziché prenderci a clavate, esercitiamo questa competizione in un altro modo, più intellettuale. Ci scegliamo dei nemici e facciamo di tutto per superarli in termini di voti scolastici, e poi di livello d’impiego, e poi forse in risultati sportivi, ma anche in ricchezza e potere.
E con lo sviluppo delle comunicazioni e il boom dei social, questa lotta brutale ha aumentato il suo raggio d’azione, investendo potenzialmente tutto il mondo. In altre parole, non confrontiamo più il nostro livello di bravura con gli abitanti del nostro paesino, della città o al massimo della regione. No: dobbiamo competere addirittura con tutt’Italia, e poi con tutto il mondo.
Più l’asticella si alza e più diventa faticoso rincorrerla, generando innumerevoli distorsioni. Tra queste, il rischio sempre più concreto di far passare come normali delle performance eccezionali. Un esempio che negli ultimi anni non manca di far discutere è il ciclico diffondersi sui giornali nazionali di storie di giovani eccellenze, spesso plurilaureate con il massimo dei voti e con anni di anticipo. Insieme a queste notizie, non mancano di arrivarne altre, stavolta sui crescenti suicidi degli universitari che sentono di non reggere la pressione. E poi le storie delle atlete di varie discipline, che vengono sottoposte a violenze psicologiche inaccettabili per scendere di peso o aumentare le proprie performance. E poi ancora sul fenomeno del burnout tra i lavoratori, una sorta di epidemia contemporanea. Perché i disturbi d’ansia sono così frequenti al giorno d’oggi? Forse uno dei motivi è proprio questa normalizzazione dell’eccezionale.
Chi è stato a scuola diversi decenni fa e ha figli o nipoti che frequentano la scuola oggi, può toccare con mano come sia cambiato il sistema dei voti. Alcuni sostengono che il 10 di oggi sia il 7 o l’8 di un tempo, e ciò è assolutamente possibile. Se un professore sensibile ha l’intenzione di non lasciare indietro i suoi studenti, non potrà che dar loro sempre il massimo dei voti, visto che il massimo sembra essere ormai il minimo indispensabile.
Si sono ormai diffusi due preconcetti, molto comuni, che dovremmo sforzarci di combattere:
Sconfessare queste idee significa non rinunciare ai nostri sogni, ma semplicemente eludere il marcio del sistema ipercompetitivo in cui viviamo.
Oltre a queste considerazioni che attengono alla psicologia, un espediente concreto per ridurre l’ansia da ipercompetitività è una strategia utilizzata da molti professionisti, e sta nel settorializzare il nostro raggio d’azione.
Si tratta di trovare una nicchia in cui possiamo sentirci bravi e dalla quale possiamo partire per costruire le nostre strategie di “lotta”. Magari non siamo i più bravi del mondo a fare il nostro lavoro, ma c’è un aspetto di esso in cui siamo davvero forti e che possiamo insegnare agli altri. Coltiviamo quel piccolo aspetto e costruiamo su di esso la nostra soddisfazione. Questo è un modo per uscire dalla competizione “globale” ed entrare in un’altra, più su misura.