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    Il legame nascosto tra lavorare troppo e salute mentale
    Lavorare troppo: a volte è una sorta di automedicazione rispetto a un quadro di ansia o depressione, a volte invece è un atteggiamento che porta ad ammalarsi mentalmente anche i sani.

    Lo stacanovismo lavorativo è una realtà per tante persone, e oramai gli studiosi di psicologia sono concordi che questa attitudine nasconda di frequente un problema di disagio mentale. Un esempio storico è quello di Winston Churchill, statista inglese noto per la sua infaticabilità che però soffriva anche, ciclicamente, di episodi depressivi paralizzanti. Qualcuno ipotizza, per dare una spiegazione al suo caso, che Churchill fosse bipolare e compensasse con fasi di mania i momenti di blocco totale dati dalla depressione. Qualcun altro crede invece che il lavorare troppo fosse proprio il modo che il noto primo ministro aveva trovato per tenere a bada i propri problemi mentali, per non ascoltarli.

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    Negli anni passati, prima della moda passeggera del quiet quitting, si parlava molto più spesso di un fenomeno detto, in inglese, workaholism (“alcolismo da lavoro”, “dipendenza da lavoro”). Secondo uno studio riportato dal Sole ventiquattr’ore, questo problema affliggerebbe circa il 66% dei Millennials americani: di questi, il 63% lavora anche da malato, il 70% è produttivo sette giorni su sette e il 32% lavora anche… quando è seduto sul WC. Il fatto che molti dei nuovi mestieri siano legati al digitale ed eseguibili da casa non fa che favorire questo fenomeno.

    L’aspetto peculiare della dipendenza da lavoro è che si dimostra tanto un effetto quanto una causa di cattiva salute mentale. Infatti una persona potrebbe lavorare troppo per non pensare ai propri problemi, per fornire a se stessa la dopamina di cui necessita, oppure potrebbe scivolare nella depressione a causa di ritmi troppo elevati imposti dall’esterno. In questo senso è importante non solo capire come aiutare lo stacanovista “tipo”, quello che si autoimpone certi ritmi, ma anche sottoporre a un controllo i datori di lavoro e l’entità delle loro pretese. In generale comunque l’eccesso di lavoro viene visto come una “dipendenza da automedicazione”, simile a quella delle persone che eccedono con i farmaci.

    Dato che il lavoro è fondamentale per il mantenimento di una società efficiente e moderna, questo viene visto come un valore e gli stacanovisti sono considerati degli esempi da imitare. Questo porta sia i workaholic sia i loro datori di lavoro e familiari a sottostimare il problema, anzi, spesso a negarlo del tutto. Invece è bene ricordare che una persona sana deve avere un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata.

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    Oggi, come notano diversi analisti, la mancanza di tempo libero viene avvertita come uno status symbol: dovremmo decostruire questa idea e renderci conto che il lavoro eccessivo favorisce l’insorgenza o la cronicizzazione di ansia e depressione, porta spesso a un aumento di peso e ha ripercussioni, a seconda del mestiere esercitato, su diversi organi e apparati. Inoltre alcuni studiosi hanno notato che la dipendenza da lavoro può favorire altre dipendenze secondarie, le quali insorgono come rimedi alla “cura primaria”: dipendenza da droghe, da pornografia e da alcol.

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     Commenti (3)
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    1. ricdick963, Firenze (Toscana)
      Nell'Italia di oggi, viene da chiedere se chi ha lavorato una vita, della vita non ha capito nulla. Purtroppo con partiti politici come il PD (e i 5stelle cui si fanno scudo) i lavoratori possono sia impazzire sia morire, non hanno voce in capitolo.
    2. doctorwho72, Perugia (Umbria)
      Io personalmente andrei in pensione con quindici anni di anticipo per dedicarmi ancora di più alla mia vita. In verità lo stacanovismo cela un grosso problema di insicurezza, o più nello specifico di identità personale... E per darsi uno scopo ci si lascia invadere dal lavoro. Nulla di più sbagliato, bisogna essere solo se stessi... Trovare se stessi...
    3. cri_cri62, Udine (Friuli-Venezia Giulia)
      Spesso si è dipendenti dal lavoro perché non si hanno altri interessi e si pensa che il lavoro a ritmi molto sostenuti possa farci dimenticare il vuoto che abbiamo intorno. In realtà è solo un voler mettere la testa sotto la sabbia, Al primo calo del ritmo ci si ritrova a pezzi, in preda alla depressione più profonda. Sarebbe opportuno fermarsi un attimo e cercare di capire cosa ci può essere in noi che non funziona e ovviamente farsi aiutare.
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