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    Lavorare sotto pressione, abilità o desensibilizzazione?
    Al giorno d’oggi la capacità di lavorare sotto pressione è estremamente apprezzata dai datori di lavoro, ma siamo sicuri che sia una cosa giusta?

    La maggior parte degli annunci di lavoro riporta, tra i requisiti richiesti ai candidati, la capacità di lavorare sotto pressione. In effetti in molti lavori, per le più svariate ragioni, il ritmo è davvero elevato ed è necessaria una tenuta non solo fisica, ma anche psicologica. Un mestiere usurante lo è, in massima parte, per le pressioni a cui è sottoposto il corpo del lavoratore, anche semplicemente per via degli orari notturni o per le condizioni ambientali; altri mestieri usuranti non adeguatamente riconosciuti sono, comunque, quelli a contatto con il pubblico o quelli che richiedono responsabilità e rischi elevati.

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    È capitato a tutti di dover lavorare sotto qualche forma di pressione fisica o psicologica ed è chiaro che chi risponde meglio risulti privilegiato. È però giusto chiedere ai lavoratori di sopportare “bene” la pressione o di farne un’abitudine?

    Non nascondiamoci dietro a un dito: la richiesta di lavorare sotto pressione nasconde spesso e volentieri l’inadeguatezza del contesto in cui si esercita il proprio mestiere. Medici e infermieri costretti a fare turni interminabili, camerieri perennemente in straordinario, maestri messi di fronte a classi troppo numerose… e se ogni lavoro comporta intrinsecamente la presenza di ostacoli da superare, c’è un limite che non andrebbe oltrepassato e che invece vediamo violare ogni giorno. Molti incidenti sul lavoro sono dovuti a un mancato rispetto delle norme di sicurezza, ma esistono “incidenti” più invisibili, come il burnout, che affliggono migliaia di lavoratori e che sono spesso causati da condizioni di pressione ingiusta.

    Nonostante ciò, continuiamo a pensare che la capacità di un lavoratore di gestire lo stress e andare avanti per molti anni senza apparentemente risentirne troppo sia un pregio. Sarebbe invece il caso di capire come è possibile togliere la resistenza allo stress dai requisiti per l’assunzione e dedicarsi alla riduzione della tensione in tutti i luoghi di lavoro. Lavorare, come sanno bene gli spagnoli, è fatica: in castigliano lavoro si dice “trabajo”, cioè “travaglio, sofferenza”. È però vero che in molti considerano un punto d’onore sottoporsi a fatiche che se il lavoro fosse gestito meglio non sarebbero affatto necessarie.

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    Ovviamente, non è in nostro potere cambiare il sistema. Possiamo cambiare però il nostro approccio al problema, quando va a toccare la nostra vita.

    Spesso chi lavora costantemente sotto pressione sperimenta una sorta di desensibilizzazione: interiorizza lo stress, lo rende parte della propria routine, e così facendo ignora i segnali d’allarme che il suo corpo gli sta dando. Condizioni di stress prolungato possono portare a importanti rischi, come la riduzione dell’attenzione che in casi estremi può essere fatale, o più comunemente l’insorgenza di problemi fisici. Non dimentichiamo che molte patologie possono essere causate dallo stress.

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    Imparare ad ascoltarsi è essenziale, e il passo successivo è trovare strategie, dirette o indirette, per togliersi un po’ di carico dalle spalle. Questo articolo vuole semplicemente ricordare che c’è una vita oltre il lavoro e che quest’ultimo non dovrebbe peggiorarne, ma migliorarne la qualità. Saper chiedere aiuto e in casi estremi allontanarsi da un lavoro troppo usurante sono segni che una persona tiene alla propria salute prima di tutto.

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