Nel 2025 circa il 29% degli italiani ha dichiarato di lavorare da casa. Il lavoro da remoto, che durante la Pandemia è stato considerato da molti come una soluzione temporanea, è la nuova normalità per milioni di persone. In testa, tra i lavoratori full-remote, ci sono i liberi professionisti (22%), mentre solo una porzione esigua di dipendenti lavora completamente da casa (4%). Molto gettonate sono anche le modalità “ibride”, che prevedono una presenza in ufficio in alcuni giorni della settimana e il restante tempo di lavoro online.
Alcuni lavori si prestano alla modalità smart working meglio di altri. Il settore marketing è in prima fila, con una grande fetta di occupati che lavorano da casa (secondo alcuni sondaggi fino al 70%). Al contrario, settori come quello sanitario-assistenziale richiedono ancora molto spesso la presenza fisica sul luogo di lavoro. Le città che contano più residenti impiegati da remoto sono Roma e Foggia, mentre in realtà come Taranto e Prato solo il 13% dei lavoratori esercita il proprio mestiere da casa.
Il lavoro da remoto suscita entusiasmi ma al tempo stesso solleva interrogativi riguardo ai possibili risvolti sulla salute mentale. Qual è il bilancio, sei anni dopo la Pandemia? Alcuni dati ci sono forniti da una ricerca del servizio di psicologia online Unobravo.
La ricerca ha coinvolto 1500 italiani che lavorano da casa. La raccolta dei dati si è basata su un questionario che riguardava costi e benefici dello smart working. Nel complesso, il lavoro da remoto influisce positivamente sulla percezione della salute mentale: il 46% degli intervistati ha affermato di aver riscontrato un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Questo è dovuto in gran parte all’eliminazione degli spostamenti casa-lavoro, con un risparmio significativo di tempo da destinare alla propria salute psicofisica.
Altri benefici riscontrati sono la riduzione dell’ansia e dello stress, la possibilità di dedicare più tempo all’esercizio fisico e un aumento della concentrazione e della produttività.
Sebbene il 15% degli intervistati abbia dichiarato di non rilevare criticità psicologiche nel lavoro da remoto, gran parte dei volontari ha segnalato di aver vissuto qualche difficoltà. Il problema principale (27%) è staccare la spina, dato che spesso il lavoro da remoto rende difficile stabilire dei limiti chiari. Molte persone finiscono per lavorare di più in smart working, sacrificando parte del loro tempo libero.
Un problema di non poco conto è anche il senso di solitudine. Chi lavora in full remote non ha contatti con i propri colleghi o clienti e, se non ha una vita privata abbastanza ricca, potrebbe finire per sentirsi sempre più isolato. La mancanza di rituali condivisi come la “pausa caffè” può ridurre il senso di appartenenza all’azienda, ma anche far saltare quella quota di socialità che in particolare per i giovani e i single ha tanta importanza.
Gli esperti consigliano a chi lavora da remoto di curare il più possibile l’equilibrio tra lavoro e vita privata, creando una routine strutturata che eviti il rischio di spremersi più del necessario. Un altro punto di fondamentale importanza per salvaguardare la salute mentale è curare le relazioni, cercando ogni occasione possibile per socializzare (ad esempio iscrivendosi a dei corsi, facendo volontariato, passando tempo con la famiglia…). Anche mantenere il corpo in movimento è fondamentale per il benessere mentale, e iscriversi in palestra o andare a correre è un piccolo gesto d’aiuto non solo per la linea ma anche per il cervello.
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