Perché parlare di femminicidio e non semplicemente di omicidio? Sono tanti a chiederselo, dal momento che da sempre la maggior parte delle persone morte violentemente per mano d’altri sono maschi. Per parlare di femminicidio non basta semplicemente che la vittima sia di sesso femminile: con questo termine qualifichiamo un’uccisione che sia motivata da desiderio di possesso dell’uomo sulla donna, che viene uccisa proprio in quanto tale. In Italia, quest’anno, 118 donne sono state strappate brutalmente dalla vita e 96 di loro sono state vittime di femminicidio.
L’identikit del femminicida lo conosciamo ormai: uomo, di qualsiasi età giovane o matura, legato sentimentalmente a una donna che potrebbe avere espresso l’intenzione di allontanarsi da lui. Il femminicida uccide, nella maggior parte dei casi, perché non tollera la separazione con la donna che avverte come “propria”.
I casi di femminicidio che hanno segnato il 2023 hanno destato – quale più quale meno, purtroppo – un’accesa indignazione nell’opinione pubblica, che sta richiedendo con voce sempre maggiore delle misure di prevenzione a partire dall’educazione dei più giovani.
Casi come quello di Giulia Donato, la giovanissima 23enne uccisa a colpi di pistola dal fidanzato, o come quello di Martina Scialdone, assassinata in strada in pieno giorno fuori da un ristorante di Roma; Giulia Tramontano, 29enne incinta di sette mesi per il cui assassino è stato ipotizzato il reato di duplice omicidio; Sofia Castelli, vent’anni e una carriera universitaria appena iniziata; Marisa Leo, che fin dal 2020 aveva denunciato il suo assassino per stalking ma non si è salvata; Anna Elisa Fontana, uccisa “per aver salutato un conoscente”; e infine la vittima più discussa e famosa, la 22enne veneta Giulia Cecchettin.
Dopo la morte di Giulia si è generata quasi una rivolta nell’opinione pubblica, al grido che questa vittima doveva essere l’ultima. Inutile dire che non l’è stata, perché le aggressioni ai danni delle donne sono continuate e continuano ancora.
Le reazioni del mondo dell’internet a un fenomeno di grande portata e impatto sociale come il femminicidio non sono sempre quelle che ci si aspetterebbe. Qualche utente web ha addirittura sostenuto che si parli troppo di questo tema, col rischio di scatenare un effetto emulazione. Ma come si combatte il femminicidio? Bella domanda.
Secondo Valeria De Vellis, avvocata matrimonialista intervistata dal Sole 24 ore, la paura dell’effetto emulazione o di altri effetti deleteri non deve fermare l’attenzione mediatica sui femminicidi, che vanno raccontati con frequenza e intensità. Ma oltre alla sensibilizzazione della popolazione, è urgente prendere misure cautelari sempre più accurate e tempestive per difendere le donne vittime di violenza: essa quasi mai esplode all’improvviso e dal nulla.
È molto importante educare le persone a riconoscere i segni premonitori del femminicidio. Infatti quasi tutti i reati violenti di questa portata sono preceduti da una serie di segnali: prima la violenza psicologica, poi violenza sugli oggetti (il classico lancio di piatti ma anche altro) e poi la violenza fisica, che rappresenta il segnale di allarme più importante. Spesso il femminicidio è preceduto da minacce più o meno velate.
Molti partner sono violenti e solo una porzione di essi è un potenziale femminicida: ma la contromisura più sicura è non prendere sottogamba alcun tipo di violenza, permettendo a una potenziale vittima di allontanarsi al primo segnale.