Con il termine algospeak ci riferiamo alla tendenza di aggirare la censura sui social servendosi di emoticon e simboli per trasmettere parole “vietate”.
Spesso l’algospeak arriva in soccorso di chi vuole parlare, anche in tono un po’ giocoso, di questioni legate all’intimità: la pannocchia diventa simbolo del membro maschile, il lipgloss della controparte femminile; i simboli del dollaro vengono utilizzati per sostituire la lettera S nelle parole, mascherandole (esempio: $e$$o, le$bica e così via).
L’algospeak dilaga anche tra chi vuole parlare di delicate questioni politiche senza inciampare nello shadowban: l’anguria è diventata su Tiktok il simbolo della Palestina, come il girasole dell’Ucraina. Altre volte le parole vengono distorte attraverso l’uso di simboli grafici e numeri, pur restando comprensibili: ad esempio, attingendo dalla cronaca recente, troviamo le parole “Isr43le” e “H**as”.
Non sempre i significati legati a certe emoji sono facilmente interpretabili da chi non fa parte della “bolla”. Come spiega l’esperto Marco Di Marco, l’algospeak è a tutti gli effetti un linguaggio cifrato, come tanti ce ne sono stati nella storia lontana e recente. Dalla crittografia più o meno avanzata ai gerghi giovanili, le persone hanno sempre sentito l’esigenza di dotarsi di un linguaggio a parte, che cementi la loro appartenenza a un gruppo.
Il rischio è che questi sottolinguaggi crescano esponenzialmente divenendo sempre più difficili da interpretare per chi non è della “nicchia” ma soprattutto portando alla censura di parole del tutto innocenti, ree solamente di essere utilizzate in sostituzione di altri termini più “caldi”. Il rischio, insomma, è di generare confusione al posto della condivisione.
Il secondo rischio è che, trovando un modo così efficace per “fregare” la censura, si dia via libera all’uso di un linguaggio incontrollatamente volgare o irrispettoso.
Ma perché i social censurano così tanto? Non dovrebbero garantire la libertà di espressione? Come in molte situazioni, qui abbiamo un vero e proprio balletto tra la possibilità, il diritto di diffondere le proprie idee e la necessità di rendere i social un luogo sicuro e poco “triggerante” per le persone più sensibili o per le minoranze.
La censura dei social, almeno in Europa, risponde al Digital service act, il nuovo regolamento dell’Unione europea che mira a rendere lo spazio virtuale sicuro per tutti. Un impasto a volte problematico di buon senso e finto “politically correct”.
L’algospeak è il linguaggio dei “carbonari” del nostro secolo, niente di più e niente di meno. Sarebbe bene però che ci fosse un controllo dal basso di questo mezzo d’espressione, con il rifiuto di divulgare parole stereotipate e offensive nei confronti dei più deboli.