Il personaggio protagonista de Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi è molto conosciuto e amato in Italia, la sua patria, ma anche nel mondo grazie ai tanti film che sono stati prodotti sulla sua figura. Tra le pellicole su Pinocchio la più conosciuta resta la versione Disney, uscita nel 1940 e guardata dai bambini di ormai tante generazioni.
La storia di Pinocchio è ricca di archetipi e metafore: abbiamo Geppetto, il creatore che rivela fin dall’inizio del film un grande istinto paterno; la fata Turchina, cioè la figura materna che come azione principale ha quella di dare la vita al pezzo di legno trasformandolo in Pinocchio; il grillo, simbolo di buona fortuna in tante culture e che rappresenta la coscienza. Abbiamo poi Pinocchio stesso, il “bambino di legno” ispirato, forse, ad alcuni miti dove l’uomo di legno viene utilizzato per spiegare la creazione.
Il percorso di Pinocchio è quello dell’Uomo, che da materiale inerte diventa cosa viva e che deve però confermare questa sua umanità attraverso un percorso di vita molto complesso. Pinocchio, come nelle migliori tradizioni di iniziazione “religiosa”, deve imparare a distinguere il bene dal male e deve resistere alle tentazioni che via via maligni personaggi gli propongono. Il grillo-coscienza, che dovrebbe aiutarlo a evitare la “perdizione”, non viene quasi mai ascoltato in quanto lui stesso afferma: “La coscienza è quella debole voce interiore che nessuno ascolta, per questo il mondo va così male”.
Pinocchio, curioso e a volte testardo, si caccia in una lunga serie di guai perché non vuole andare a scuola. Secondo molti analisti è proprio l’istruzione il centro della morale insita ne Le avventure di Pinocchio. Rifiutare la scuola significa darsi a mestieri (Mangiafuoco) o “faccende” (Il gatto e la volpe) che dovrebbero garantire facili guadagni senza impegno si rivela in ultima analisi una prigione per il corpo e l’anima. Anche passare la vita semplicemente a giocare, come Lucignolo propone, si dimostra l’ennesimo inganno.
Quando Pinocchio salva Geppetto dalla balena (episodio che non può non ricordare la storia di Giona) si ravvede, compie un percorso di purificazione e si avvia a diventare un “bambino vero” tornando poi alla scuola che non aveva mai frequentato.
Collodi e Disney sembrano dirci che è l’istruzione, con la fatica che comporta, a trasformare i bambini in “uomini” inseriti nella società, consapevoli del bene e del male e anche ricchi di virtù spirituali (i simboli cristiani parlano chiaro).
Tra gli analisti moderni c’è chi ha criticato la morale di Pinocchio e ha voluto vedere nella storia del “pezzo di legno” una metafora del conformismo, in una società che anziché accogliere le differenze vuole uniformare tutti rendendoli cittadini modello fatti con lo stampino: Pinocchio infatti deve rinunciare alla sua natura di legno, sedersi buono al banco e trasformarsi in un bambino qualsiasi perdendo la propria identità. Bisogna però considerare che in quegli anni e per un pubblico di bambini Pinocchio che diventa umano grazie alla conoscenza rappresenta una metafora di riscatto e non di uniformazione.
Nel 1881, anno in cui viene pubblicato Le avventure di Pinocchio, l’analfabetismo era un grave problema in Italia e ben pochi genitori erano propensi a iscrivere a scuola i loro figli. Era in vigore da pochi anni la legge Coppino (del 1877), la prima a stabilire multe per chi non iscriveva i propri bambini alle elementari. In definitiva il libro, anche se ovviamente non era rivolto a quei genitori analfabeti ma alle classi medio-alte che sapevano leggere, voleva sensibilizzare sull’importanza della scuola per tutti, anche per i figli di falegnami come Geppetto che magari sarebbero andati a bottega sin da bambini senza mai conoscere il mondo oppure si sarebbero “persi per strada” come Pinocchio.
Oggi questi temi ci sembrano lontani, eppure i dati ancora forti sull’abbandono scolastico e l’analfabetismo funzionale rendono Pinocchio una figura ancora attuale.