La competitività è un termine che spesso viene usato in ambito lavorativo, ma in realtà è una tendenza che si evidenzia anche nelle relazioni. Quando parliamo di competitività ci riferiamo alla volontà di raggiungere obiettivi sfidanti, desiderare il riconoscimento o anche voler primeggiare. La competitività in senso assoluto non è né positiva né negativa: è un atteggiamento che esiste in qualsiasi specie animale, anzi, è forse tra le caratteristiche che più ci avvicinano alla nostra natura atavica.
Il fatto che la competitività non sia buona né cattiva non esclude però la presenza di pro e contro che possono impattare fortemente sulla vita. Ecco dunque quali sono i veri vantaggi e svantaggi dell’essere competitivi.
La competitività ha il pregio di accrescere la motivazione, aiutando a raggiungere risultati che altrimenti potrebbero essere difficili o impossibili. Sul lavoro, essere competitivi migliora la produttività e con essa l’autostima. Anche se la volontà di raggiungere obiettivi alti predispone alla possibilità di fallire, la competitività è una molla potente che allena la coscienza di sé, la resilienza e l’atteggiamento positivo nei confronti delle proprie possibilità. È perciò possibile che una persona competitiva sia più ottimista, più cosciente di sé, più “magnetica” e più volitiva della media, cose che la portano a sentirsi meglio con se stessa e con gli altri.
Tra i lati negativi della competitività ci sono sicuramente l’ansia e lo stress, due subdoli nemici che entrano in gioco ogni volta che si dà tutto per ottenere ciò che si vuole. La competitività può spingere a privarsi del sonno, del cibo o dello svago necessari ad allentare ansia e stress, sacrificando tutto per il risultato. Un altro lato negativo della competitività è che può alimentare una pressione sociale non indifferente: quando si vola alto si attirano su di sé sguardi che possono diventare anche molto pesanti, giudicanti, ulteriormente ansiogeni. La competitività, inoltre, può spingere a ricorrere a qualche bassezza pur di ottenere il risultato che si vuole, causando dilemmi etici e conflitti di coscienza. La competitività, infine, può essere fonte di esaurimento e frustrazione quando il risultato sperato non viene mai ottenuto, con conseguente aumento del rischio di sviluppare una depressione.
La competitività ha una natura ambivalente: da un lato ci porta in alto, affinando sensi e mente per spingerli oltre l’ostacolo, dall’altro tende a lasciare un senso di oppressione che se non adeguatamente gestito si trasforma in un vero e proprio burnout. Chi sa di essere competitivo o vive in un ambiente competitivo deve essere cosciente di avere tra le mani qualcosa di potente ma pericoloso e deve imparare a gestire le proprie forze per non trasformare la propria fiamma in un fiammifero.