È il periodo delle vacanze di Natale. Noi adulti non le viviamo allo stesso modo dei bambini perché siamo un po’ disillusi, perché non crediamo più a Babbo Natale, ma anche perché (tranne se siamo particolarmente fortunati) abbiamo pochi giorni di ferie a disposizione.
Ma non è di questo che parleremo oggi. Vogliamo solo riportarvi alla memoria qualche aspetto legato alle vacanze di Natale che vivevamo da piccoli. Vi ricordate come salutavamo i nostri compagni il 22 o il 23 dicembre, l’ultimo giorno di scuola? Ci sembrava di doverli lasciare per un tempo lunghissimo. Sapevamo che i nostri amici ci sarebbero mancati molto e che saremo stati contenti di ritrovarli in classe il 7 gennaio, dopo una vita. Ebbene, erano meno di 20 giorni.
Le vacanze di Natale ci sembravano lunghissime, ora per noi sono un battito di ciglia. Per non parlare dell’estate, che da bambini sembrava quasi infinita. Oggi il tempo corre, i mesi si susseguono come i vagoni di un treno lanciato alla massima velocità, e perfino gli anni si confondono l’uno con l’altro. La sensazione di tristezza che proviamo quando sentiamo di essere invecchiati in un soffio può essere profonda, ci fa male. Ma perché questa maledizione legata al tempo? Qual è il motivo?
La spiegazione, come sempre, ce la dona la scienza. Uno studio dell’Università di Birmingham ha dimostrato che il cervello degli adulti elabora il tempo in un modo diverso. Questo accade perché, invecchiando, smettiamo di notare tutti i piccoli cambiamenti che avvengono intorno a noi.
Gli scienziati chiamano questo fenomeno “dedifferenziazione neurale”: quando siamo adulti il tempo ci appare più fluido (e quindi più veloce) perché perdiamo la capacità di notare le differenze, di registrare gli eventi. Ogni secondo che passa, un bambino nota tutti i micro-cambiamenti nell’ambiente, negli avvenimenti e nel comportamento delle persone, mentre un adulto vive queste variazioni con meno attenzione. Quindi gli attimi restano meno impressi, vengono ricordati meno.
Per dimostrare questo fenomeno i ricercatori hanno coinvolto 577 volontari tra i 18 e gli 88 anni in un esperimento “cinematografico”. È stato loro chiesto di guardare un corto di Hitchcock, “Bang! You’re Dead”, mentre un macchinario registrava l’attività cerebrale secondo per secondo. Il macchinario aveva il compito di registrare quando il cervello “cambiava scena”, ossia passava da uno stato neurale all’altro. Si è visto che i giovani vivevano passaggi frequenti e netti, mentre i più adulti sperimentavano transizioni più lente e sfumate. Queste percezioni del tempo diverse erano legate all’attività della corteccia prefrontale ventromediale e della corteccia visiva, aree deputate alla percezione e alla memoria.
Quando diventiamo adulti, insomma, il cervello ci mostra meno “tagli di montaggio”, e il film della nostra vita sembra farsi più fluido e più veloce. Semplifichiamo, uniamo le scene tra loro, come per risparmiare energia. Questo non significa che non sentiamo più emozioni, ma le viviamo in modo diverso (e ne viviamo meno).
C’è poi un’altra questione non da poco. Come spiega la linguista Joanna Szadura, la percezione del tempo può essere diversa per un ulteriore motivo: per un bambino di due anni, un anno è il 50% della vita vissuta; per un uomo di 50 anni è solo il 2%.
Tutto questo significa che siamo condannati a veder scorrere i nostri anni come sabbia tra le dita? Non possiamo negare che sarà così. Ma un piccolo correttivo si può applicare cercando di vivere più emozioni possibile. Ogni emozione forte rimane impressa, che abbiamo cinque anni oppure cinquanta: se viaggiamo, ci innamoriamo, ci dedichiamo a quello che ci piace, proviamo un’esperienza nuova gli attimi rimangono impressi e danno l’impressione di rallentare il tempo.
Auguriamo quindi a tutti gli adulti di dedicarsi alle loro passioni e vivere una vita più piena possibile. Non possiamo fermare lo scorrere degli anni, ma possiamo rendere ogni attimo più piacevole.
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