Alto e robusto, viso incavato, naso schiacciato, occhi grandi, mascella inferiore pronunciata, colorito olivastro, lunghi capelli neri, voce aspra: una descrizione che sembra calzare a pennello ad un “plebeo” che della bellezza ha ben poco in comune ma in realtà corrisponde all’aspetto di uno degli uomini più intelligenti della storia: Lorenzo de’ Medici.
Istruito dai migliori maestri del tempo, Lorenzo conosceva il greco e il latino, scriveva in italiano volgare e aveva uno spiccato senso poetico. Figlio ed erede di Piero de' Medici e Lucrezia Tornabuoni, Lorenzo crebbe con una profonda passione per le arti, nonché una spiccata vocazione per la politica.
I Medici erano tra le famiglie più prestigiose a capo del governo della città di Firenze, del tempo (nel periodo delle Signorie); sfuggito ad un attentato ordito dalla famiglia rivale dei Pazzi (passata alla storia come Congiura dei Pazzi ) in cui perse la vita il fratello Giuliano, Lorenzo seppe trovarsi gli alleati giusti per rafforzare la sua posizione, passando in pochi mesi dall'orlo del baratro ad un potere quasi assoluto sui destini della città.
Questa dote diplomatica fu uno dei tratti più caratteristici della sua persona, tanto che, durante il suo governo, la delicata situazione politica dell'Italia (che allora divisa in tanti piccoli staterelli in perenne conflitto) raggiunse un equilibrio mai provato in precedenza. Oltre che per lo strabiliante talento politico, egli fu consegnato alla storia come "il Magnifico" anche per lo splendore artistico cui riuscì a portare la città che governava. Con lui, infatti, Firenze divenne la prima città d'arte italiana, con artisti e studiosi che accorrevano da tutta Europa al servizio del dominio Mediceo.
Lorenzo, infatti, fu il più grande mecenate (ovvero scopritore e finanziatore di artisti) del suo tempo: per la sua corte operarono artisti del calibro del Pollaiolo e Botticelli che, con i loro quadri, impreziosirono i più bei palazzi di Firenze: a Lorenzo si deve, tra l’altro, la fondazione della prima Accademia d'Arte della Storia.
Questa attenzione per la cultura (lui stesso fu un letterato e poeta) e per la crescita dei giovani talenti, permise al meglio dell'Arte italiana di sbocciare (tra i giovani che studiarono all'Accademia di Lorenzo si ricorda Michelangelo Buonarroti), contribuendo perciò allo splendore di quel periodo storico italiano conosciuto come “Rinascimento”.
Padrone assoluto della città, nella vita di tutti i giorni aveva però fama d’uomo semplice, amava il canto (anche se era stonato), cedeva il marciapiede alle persone più anziane, e frequentava le osterie per incontrare le classi umili dei suoi fiorentini.
Era anche un grande esperto di cucina, un raffinato intenditore di vini e cibi. Fra gli iscritti all'Accademia platonica da lui presieduta c'era anche Bartolomeo Sacchi, detto “il Platina”, autore del celebre trattato “De Honesta Voluptate”. Lorenzo, nella sua opera “Il Canto dei Cialdonai”, procura la ricetta per preparare i cialdoni, di cui andava particolarmente ghiotto.
Nei “Canti Carnescialeschi” e nella “Nencia da Barberino” parla dei suoi cibi preferiti che si potevano consumare nelle osterie fiorentine: schiacciate, migliacci, castagnacci, aringhe, pancetta, salsicce, fave arrostite, pecorini, cosce di rana. Gli arrosti di selvaggina gli arrivavano dalle battute di caccia che organizzava presso le sue ville di Cafaggiolo e di Poggio a Caiano.
Nel suo palazzo di via Larga a Firenze si servivano sontuosi banchetti famosi presso tutte le corti italiane; memorabile quello allestito nel giugno 1469 quando sposò Clarice Orsini. Sulla tavola conviviale del Magnifico trionfavano carni di vitello, maiale, capretto e selvaggina, cotte arrosto ma anche "allesso", innaffiate con ottimo Chianti e arricchite da verdure e dolci.
Insomma, non solo uomo di cultura ma anche raffinato gaudente dei piaceri della vita mondana: un viveur sotto ogni punto di vista: i suoi versi "Chi vuol esser lieto sia, di doman non v'è certezza..." esprimono appieno la sua filosofia di vita.
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