La decisione di andare a convivere è una tappa delicata del percorso di una coppia. Meno rigida del matrimonio, è pur sempre una prova ardua e la voglia – o il dubbio - di affrontarla dipendono dalla percezione che si ha di sé e della relazione.
Quando entrambi i partner avvertono un clima positivo nella coppia, emerge il desiderio di condividere il quotidiano. E non solo. Si vogliono realizzare progetti comuni, mettere a disposizione dell’altro le proprie risorse. L’esperienza della convivenza viene così favorita. Al contrario, ci sono elementi che impediscono di viverla con serenità. Come la distanza emotiva, la scarsa fiducia in se stessi o nell’altro, la difficoltà a separarsi dalla famiglia d’origine e la convinzione che la convivenza sia un ostacolo alla realizzazione di un progetto personale.
Anche se la convivenza è un evento che crea meno ansia del matrimonio, può essere comunque costellato da ansie e paure in quanto rappresenta un'evoluzione del rapporto. Ci si chiede spesso: sono sicuro che sia la persona adatta a me? Cosa succede se ci lasciamo? Inoltre, si ha paura della routine ma anche di dover cambiare le proprie abitudini o di scoprire che non riusciamo ad accettare quelle del partner.
Quando la convivenza viene “subita” perché si finisce col cedere alle pressioni dell’altro, nella coppia si crea automaticamente uno sbilanciamento. L’armonia relazionale si compromette: invece della posizione “fianco a fianco”, che rappresenta la salubrità, si realizza la posizione “sopra-sotto” in cui uno dei due domina sull’altro. Una convivenza di questo tipo può durare anche a lungo: come nei casi di dipendenza affettiva, o di blocco di crescita personale da parte del partner “dominato”. Il dominante, d’altro canto, si percepirà come l’elemento trainante, positivo e altruista della coppia. O, nei casi peggiori, come onnipotente. A volte però il “dominato” reagisce e diventa consapevole della sua posizione di debolezza. Ricontatta i propri bisogni e, magari, si sente in diritto di mettere in dubbio la convivenza. Questa necessità potrebbe scontrarsi con la resistenza dell’altro che, abituato a decidere per entrambi, non intende fare passi indietro. Si insinuerà, allora, la sensazione di aver fatto uno sbaglio.
Come capire, allora, se il momento giusto per andare a vivere insieme è arrivato?
La voglia di condividere il quotidiano è uno dei primi segnali da considerare: si capisce che è giunto il momento di andare a vivere insieme quando all'interno della coppia si respira un clima positivo, la voglia di mettere le proprie risorse a favore del partner, quando entrambi avvertono il desiderio di condividere progetti per il futuro e costruire un rapporto più maturo e stabile.
Se, invece, si ha poca fiducia nell'altro, se si riscontra una particolare resistenza a staccarsi dalla propria famiglia o se si considera la convivenza come una soluzione che possa intralciare la propria crescita personale, allora meglio non cominciare ancora una vita a due in quanto mancano gli elementi fondamentali per una convivenza.
Prima di andare a vivere insieme dovrebbero essere chiari gli obiettivi di entrambi: è fondamentale quindi l'onestà, dichiarare fin da subito le proprie intenzioni, per evitare di creare ostacoli o di dover fare marcia indietro, con tutto il carico di sofferenza che comporterà.
Altro elemento fondamentale è l'autonomia personale: non dobbiamo pensare di dipendere dall'altro o che il partner esista solo per risolvere i nostri problemi. Sicurezza e autostima sono elementi importanti ma, per vivere in armonia, è necessaria anche la fiducia nell'altro, sapere che si potrà fare insieme questo percorso usufruendo delle risorse di entrambe. C'è inoltre bisogno di comprensione, così da sorreggersi l'uno con l'altro nei momenti difficili. Scegliere di convivere deve poi essere una scelta presa dai due partner in modo libero e consapevole, senza pressioni e forzature: accettare la convivenza solo per assecondare il partner è il primo passo verso il fallimento.
Esiste un tempo "migliore" per la convivenza? Certamente sì, ma non arriva per tutti nello stesso momento. C’è chi lo raggiunge dopo pochi mesi di fidanzamento, chi dopo anni. Chi è ancora in attesa. Temporalmente parlando, si colloca dopo la fase del fidanzamento. Quando abbiamo valutato la compatibilità relazionale, ci ritroviamo a fare i conti con altre variabili. Come le nostre storie di vita, gli obiettivi professionali, le capacità comunicative, il desiderio di amare e farsi amare. Ma si vedono anche i difetti dell’altro e si mostrano i propri. Si impara a fare i conti con piccole delusioni e battibecchi. Si discute, ci si arrabbia, si fa pace. Ed è questo il tempo migliore per convivere. Quello in cui i partner diventano coscienti che si può stare insieme, rimanendo se stessi. Che confrontare il proprio mondo con quello dell’altro non vuol dire annullarsi. Né sminuirsi. Anzi: convivere, nel rispetto e nella trasparenza, rappresenta la possibilità migliore per dare valore, forma e voce a ciò che si è. Ascoltare se stessi e sintonizzarsi sulle richieste del partner diventa allora fondamentale. Per evitare rapporti di prevaricazione e dominio. E per avviare una convivenza lunga e armoniosa.
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