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    Cos’è la “pandemic fatigue”
    Si usa questo termine per definire sensazioni di tristezza, mancanza di energia e motivazione derivanti dalla pandemia in corso. L’Organizzazione Mondiale della Sanità la considera un fenomeno naturale, in presenza di situazioni di prolungato rischio alla salute pubblica.

    La pandemic fatigue è quello stato di stanchezza psico-fisica che si prova quando una situazione sanitaria allarmante e pericolosa si protrae nel tempo e non fa intravvedere una soluzione a breve termine del problema.

    Come riconoscerla nel quotidiano?

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    Irritabilità, apatia, umore basso e paura del futuro per sé e i propri cari fanno da cappello ad altre manifestazioni ad esso correlate quali: insonnia, stanchezza fisica e diminuzione delle capacità cognitive di fronte a qualche problema quotidiano da risolvere. La persona tende a non fare progetti perché l’incertezza del futuro la rende particolarmente insicura e tende in questo modo a farsi travolgere da un’ondata di negatività che appesantisce l’esistenza.

    Naturalmente la reazione ad una situazione difficile e precaria come una pandemia dipende anche dal carattere della persona: chi è ribelle di indole tenderà a sovvertire le regole imposte dal sistema e a disconoscere la gravità del fenomeno – chi invece ha un temperamento ansioso acutizzerà la situazione di crisi e tenderà ad avere attacchi di panico, ossessioni e fobie. Sono due facce della stessa medaglia, laddove l’assenza di informazioni certe e l’incognita del futuro scatena irrazionalità e aggressività da una parte e paura, solitudine e fragilità psicologica dall’altra.

    Il tema della solitudine va sottolineato in modo particolare: l’isolamento, imposto dal sistema come strumento di difesa dal virus, acuisce la solitudine già presente in una fascia della popolazione, pensiamo agli anziani e ai single, e allo stesso tempo crea un forte allentamento dei rapporti interpersonali e sentimentali il quale, se non correttamente metabolizzato, potrebbe generare malesseri psicologici non trascurabili.

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    La cosa importante da non trascurare è che la stanchezza psico-fisica può condurre l’individuo ad allentare le norme di sicurezza imposte e a lasciarsi andare, quasi fosse incapace di mantenere sempre alta e costante la lotta contro il virus. Del resto la nostra società ha sempre fatto del controllo la più alta espressione della capacità di autodeterminazione dell’uomo il quale, padrone del proprio destino, controlla e dirige gli eventi e la natura secondo logiche di dominio e profitto. Nel momento in cui si verificano fenomeni gravi, imprevedibili e soprattutto incontrollabili nel breve termine, l’uomo avverte tutta la precarietà del suo essere e le categorie mentali che prima governavano la sua vita vengono di fatto sovvertite.

    Il perdurare dello stato di crisi demotiva le persone ed è naturale che la reazione al pericolo sia meno incisiva, da qui la necessità di individuare un approccio psicologico al pericolo che possa durare fino all’estinzione del fenomeno pandemico. L’OMS ha individuato alcune azioni concrete per motivare le persone, affinché la vita di ciascuno possa essere stravolta il meno possibile dal dramma sanitario, dovendo “convivere con il virus”:

    • Agire a livello locale - parlare con le persone - adattare le situazioni quotidiane al rischio sanitario – comprendere quali restringimenti possano diventare insopportabili, nel lungo periodo – rendere facili ed economici le misure di protezione dal virus – comunicare in modo chiaro senza spaventare e per specifici target di popolazione ----sono alcune delle azioni raccomandate per contrastare la demotivazione e rafforzare l’adesione delle persone ai comportamenti prescritti. 
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    In definitiva è la resilienza la nostra arma migliore per non lasciarci sopraffare nelle situazioni buie e imprevedibili della vita.

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