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    Ti senti in colpa quando non lavori? Ecco perché
    Pressioni sociali da un lato, voglia di allontanarsi dai problemi dall'altro: ma l'idea della produttività ovunque e comunque, persino nel tempo libero, va tenuta sotto controllo.

    Negli ultimi mesi stiamo assistendo a un dibattito abbastanza forte sul lavoro in Italia: tra chi lo ha perso o lo sta perdendo, chi lo cerca ma non lo trova e chi si rifiuta di accettarlo per via delle paghe troppo basse. L'opinione pubblica si divide tra chi accusa giovani e disoccupati di lassismo e attacca il reddito di cittadinanza e chi lamenta lo "schiavismo" che la maggior parte dei piccoli imprenditori italiani eserciterebbe. La crisi scatenata dal Covid-19 si trasforma per qualcuno in un invito a lavorare (o più spesso, a far lavorare) di più. Intanto, in piccoli paesi come l'Islanda, si sperimenta la settimana lavorativa di quattro giorni; in altri paesi scandinavi, esiste già il tempo pieno di sei ore.

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    L'estate è nel pieno e tutti, chi più chi meno, pensiamo a concederci un po' di svago, che si tratti di piccole gite fuori porta o delle classiche vacanze al mare o in montagna. È il momento perfetto per trarre bilanci sull'anno passato e per riflettere sul nostro personale rapporto con il lavoro.

    Sì, perché non sono poche le persone che (complice forse anche l'iper-reperibilità sperimentata con il lavoro agile) si sentono un po' in colpa, in realtà, quando staccano la spina e si concedono del tempo per sé, soprattutto se questo tempo non è impiegato in qualcosa di "produttivo" come la vacanza classica ma si risolve in semplice relax da divano o da passeggiata.

    Una parte della nostra mentalità vuole che il tempo vada speso in cose utili, "capitalizzato" in qualche modo, e se la vacanza sembra rispondere in parte a questo requisito, il puro e semplice rilassamento improduttivo no. Sentirsi in colpa quando ci si riposa è un sentimento del tutto irrazionale, ma si può nutrire di pressioni sociali, da un lato, e della volontà di evitare i propri problemi dall'altro.

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    Alcune persone hanno infatti nel lavoro una sorta di dipendenza: lavorando anche oltre l'orario tengono a bada sensazioni paurose come la rabbia, il senso di inadeguatezza o altro ed è logico che il momento del riposo possa apparire loro fastidioso, se non angosciante. Secondo l'OMS, lo stress nel mondo è paragonabile a una specie di "epidemia" e l'esigenza di tenersi sempre occupati sembra essere diventata un fenomeno ossessivo. Secondo alcuni studi il 70% delle persone rinuncerebbe a delle occasioni per socializzare avendo l'opportunità di fare qualcosa di più "produttivo".

    L'otium degli antichi romani e dei greci sembra dimenticato per noi, o meglio, siamo tentati di vederlo oggi come un momento che era comunque produttivo: da esso nascevano discussioni filosofiche e opere d'arte immortali. Ma la maggior parte degli antichi durante l'otium semplicemente si riposava facendo il bagno alle terme o mangiando pigramente sul triclinium (che è un po' come mangiare a letto, diciamo). L'antica Roma batte l'Islanda moderna due a zero, in fatto di riposo: la giornata lavorativa era molto breve e le feste nazionali riempivano quasi metà del calendario.

    Sapersi godere il riposo è una necessità per la mente ed è ormai conclamato che questa capacità si trasferisce poi in una maggiore produttività quando sarà ora di tornare al lavoro. I benefici della meditazione, del contatto con la natura ma anche di un semplice pisolino all'occorrenza sono riconosciuti da molti esperti. Un motivo in più per goderci i momenti di pausa, anche quando sembrano "vuoti", con spirito positivo allontanando il senso di colpa.

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    Infatti, se non siamo in grado di creare il vuoto dentro e fuori di noi e di accettarlo, difficilmente potremo predisporci nel modo migliore al carico di lavoro che arriverà successivamente. Una vita non è meno piena né meno emozionante se contempla dei momenti di stasi, perché è proprio grazie ad essi che l'attività acquista significato.

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     Commenti (3)
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    1. ricdick963, Firenze (Toscana)
      No si è parlato poi del lavoro supplementare di fatto "imposto" dalle aziende, che ti impedisce pure di coltivare relazioni. La maggior parte dei giovani italiani di oggi sono comunque dei fannulloni, ma è sbagliato il sistema: o si lavora troppo o non si lavora per nulla. L'unico complesso di colpa che può venire è quello del domandarsi di non avere capito niente. P.S.: sindacati non pervenuti.
    2. zuleika, Parma (Emilia Romagna)
      Molto interessante, sembra che il godersi un po' l'esistenza dia un senso di colpa, di nullità, ma poi dove vogliamo andare? Tutto finisce, è transitorio, ci sbattiamo, picchiano, litighiamo, corriamo verso dove? Non raggiungiamo in questo modo l'eternità, xche non esiste, non ci è concessa, siamo materia in continua trasformazione e in divenire,... picooli esseri indifesi, fragili, impauriti, altezzosi, nevrotici...
    3. vivalacampagna, Cortona (Toscana)
      Sentirsi in colpa quando non si lavora? ASSOLUTAMENTE NO!!! 😂😂😂😂
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