Fino all’avvento della scrittura le storie, le fiabe o anche i fatti veri venivano raccontati e tramandati oralmente: le emozioni che scaturivano in chi ascoltava non avevano modo di essere condivise con altri, se non sempre a parole e per interposta persona.
Con la nascita del libro non solo si lascia traccia di storie, saggi, ricerche, scoperte, ecc. ma si dà la possibilità a chiunque di entrare in mondi sconosciuti, di intensificare e personalizzare le emozioni, in un certo qual modo si produce una intimità "oggettuale" che prima non esisteva. In tal modo il libro diventa polo di un rapporto che nei secoli si fa sempre più silenzioso ed esclusivo.
Il rapporto tra uomo e libro non è sempre stato uguale: nel Medioevo i volumi esistenti erano pochi e la loro lettura era sempre condivisa. Pensiamo solo a tante celeberrime storie d’amore (e di morte) che hanno come cornice la lettura "a due" di un libro: Paolo e Francesca, Lancillotto e Ginevra... il libro si pone, in questi racconti, come una sorta di Cupido per chi, scorrendone le pagine, arriva a provare le stesse intense emozioni...
Già allora per pochi fortunati bibliofili, e con l'avanzare dei secoli ben di più, il libro poteva essere considerato un amico, un ispiratore, un compagno di vita per chi lo possedeva; un oggetto da amare e custodire gelosamente, qualcosa di cui andare fieri. La storia è piena di esempi di personaggi famosi che si lasciarono andare a dichiarazioni del tipo:
“Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso”. (Petrarca)
L'amante dei libri, il bibliofilo, ha spesso un rapporto molto particolare con i propri volumi: tanto che, fin dai secoli più remoti, furono molti i lettori che misero in atto vere e proprie strategie per “marchiare” i propri libri e renderli unici: si narra che Carlo II d’Inghilterra (1630-1685) per evitare che qualcuno potesse rivendicare i volumi della sua biblioteca, riprendendo l'antica arte della pittura sul bordo, rese i soggetti impressi sul taglio dei suoi libri "invisibili". Questo sarebbe stato un modo per rivendicarne l'appartenenza e tramandarla ai posteri.
Questo sistema chiamato “pittura sul bordo” cioè sul taglio delle pagine, fu inventato nel medioevo ma divenne una tecnica di moda nei secoli successivi, tanto che nel XVIII secolo i soggetti dipinti sul taglio della pagina si realizzavano “a scomparsa”, cioè erano visibili soltanto a libro aperto e solo se si imprimeva una curvatura particolare alle pagine. Questo era un segno di appartenenza personalissimo e discreto che ancora oggi viene utilizzato da alcuni giovani artisti e illustratori per manifestare l'amore per i propri volumi preferiti.
Ma la pittura sul bordo non è l'unica tecnica per dare un marchio unico ai libri: pensiamo agli ex libris. Questi sono degli speciali timbri personalizzati che si appongono sulla seconda di copertina di un volume; ne sono esempio i volumi delle biblioteche i quali, su questa pagina, riportano i dati della biblioteca stessa: l'indirizzo e spesso anche i riferimenti telefonici.
L’ex libris nasce però non come semplice timbro nominale, ma come oggetto significativo, oggetto d’arte: non serve solo ad indicare che il libro è di una tal persona ma vuole anche rappresentare il mondo interiore del bibliofilo. L'ex libris è di fatto un modo che il lettore appassionato ha di comunicare con il mondo, esprimendo se stesso e facendo della sua biblioteca una vera opera d'arte; essendo personalizzato contiene di solito un motto o un'immagine scelta perché particolarmente significativa per il proprietario.
Il primo ex libris del mondo nacque proprio così, dalla passione idealistica di un bibliofilo e dal pennello di un artista: è quello creato da Albrecht Dürer (1471-1528) per Hieronymus Ebner. L'immagine contiene una raffinata illustrazione con degli stemmi nobiliari, il nome del committente e un motto: "Dio, mio rifugio".
Lo stretto connubio che venne così a crearsi fra libro e arte figurativa fece nascere, ad un certo punto, i volumi cosiddetti “artistici”, senza testo in quanto si proponevano esclusivamente come oggetti d’arte. La parola cedette il campo alla figura e soltanto le immagini riempivano le pagine.
L'artista si sostituiva allo scrittore e la parola diventava “materia”. Uno dei primi libri d'artista moderni fu creato da un personaggio molto particolare, sia poeta che pittore: William Blake (1757–1827), il quale scrisse, illustrò e rilegò le sue Songs of Innocence and of Experience in un volume davvero unico. Lì parola e l'immagine si completavano e assumevano la stessa importanza.
Ma il fenomeno esplose davvero quando entrarono sulla scena le avanguardie: il Futurismo, il Surrealismo, il movimento Dada: tutti questi gruppi artistici seppero fare dell'oggetto-libro un'esperienza unica, non solo sul piano visivo ma spesso anche sul piano tattile. Le loro idee innovative furono poi riprese dalle generazioni successive e dalle neo-avanguardie successive agli anni '60.
Ad oggi non capita così raramente che un museo italiano organizzi mostre completamente dedicate al libro d'artista, o che abbiano almeno uno di questi come "pezzo grosso" da esibire. Il lato positivo è che per il lettore le emozioni suscitate dalle parole vengono completate da altri fattori olfattivi e visivi: il profumo dell'inchiostro, lo spessore della carta, le decorazioni, illustrazioni, copertine e quant'altro.
E quindi potremmo proprio dire che il libro, in qualunque modo si presenti, rappresenta in miniatura il cervello umano: dove esistono, come in una libreria, diversi “scaffali” ad ognuno dei quali corrispondono emozioni, sogni e aspettative. Per questo, il libro è un oggetto del quale l’uomo non potrà mai privarsi, anche nel nostro mondo sempre più virtuale.