L’origine del panettone è tuttora incerta. Le prime tracce risalgono ai tempi di Ludovico il Moro, nella Milano del XV secolo.
Era la Vigilia di Natale quando, in occasione del banchetto, il cuoco ufficiale della famiglia Sforza bruciò inavvertitamente un dolce. Per rimediare, lo sguattero che lavorava in cucina, Toni, decise di utilizzare un panetto di lievito che aveva tenuto da parte per Natale. Lo lavorò aggiungendo farina, uova, uvetta, canditi e zucchero, ottenendo un impasto particolarmente lievitato e soffice. Il dolce venne apprezzato così tanto che la famiglia Sforza decise di chiamarlo “pan di Toni”, da cui deriverà nei secoli a venire il termine “panettone”.
Questa però non è l’unica leggenda legata a tale dolce natalizio, perché secondo alcuni ad inventarlo sarebbe stata una tal suor Ughetta, per qualcun altro, invece, un certo Ughetto degli Atellani.
L’unica certezza è che il panettone sia nato nel Medioevo ed è legato alla tradizione, che vigeva all’epoca, di preparare, in occasione del Natale, dei pani molto ricchi, che venivano serviti dal capofamiglia ai commensali.
Per gli storici le prime prove documentali sull’esistenza del panettone risalgono al 1606. In quel periodo, infatti, il Dizionario milanese-italiano parla del “panaton de danedaa”, un dessert simile al pandolce di Genova. Nell’Ottocento la ricetta venne perfezionata e il dolce prese il nome di “panattón o panatton de Natal”.
I primi passi nella storia del panettone si compiono in un documento scritto nel 1470 da Giorgio Valagussa, precettore degli Sforza, che riporta il cosiddetto “rito del ciocco”. A Natale in ogni casa si metteva un grosso ceppo di legno sul fuoco; tutti i commensali mangiavano delle fette di pane di frumento distribuite dal capofamiglia, che ne conservava una per l’anno successivo, come buon augurio. Quel pane aveva, soprattutto per i poveri, un valore speciale. I fornai, infatti, tranne quelli che panificavano per i nobili, durante l’anno avevano il divieto di usare farina di frumento, pregiata e prerogativa dei ricchi. Le Corporazioni milanesi avevano però deciso che a Natale tutti mangiassero lo stesso pane, detto “Pan de Sciori” o “Pan de Ton”, cioè pane dei signori, di lusso, che veniva arricchito con zucchero, burro e uova.
La prima definizione ufficiale di panettone è del 1606: il “panaton”, nel dizionario milanese-italiano, è un grosso pane preparato a Natale.
Nel ‘700 Pietro Verri ripropone, nella sua Storia di Milano, il rito del ceppo alla corte degli Sforza, ripreso anche da Antonio Muratori che lo ricollega ad antiche usanze pagane e lo fa risalire ai primi anni dopo il Mille. I panettoni sono ancora molto bassi, simili a focacce, il lievito fa la sua comparsa in un ricettario del 1853, di Giovanni Felice Luraschi. Di canditi, invece, si parla l’anno successivo, in un trattato di pasticceria di Giovanni Vialardi, cuoco dei regnanti sabaudi, a testimonianza di una diffusione del panettone che va allargandosi a tutto il Nord Italia.
“Panettone” significherebbe “grande pane”. In realtà l’accrescitivo di pane è “panone”: da qui l’idea di alcuni secondo cui il termine potrebbe derivare dal voluminoso panetto di burro delle botteghe, diviso poi tra i clienti, o al panetto di lievito che nelle fasi della preparazione del dolce assumeva grosse dimensioni.
Le spiegazioni etimologiche si sprecano. A questo proposito pare che proprio nell’ 800 si sviluppino leggende che legano il panettone al nome di ipotetici inventori.
Ancora alla corte degli Sforza la storia di Ulivo -o Ughetto- degli Atellani, falconiere del duca. Quest’ultimo si innamora, corrisposto, di Adalgisa, figlia del panettiere Toni. Ostacolato dalle differenze sociali, per trascorrere del tempo con l’amata si fa assumere da Toni come garzone, sotto mentite spoglie. Poi, rendendosi conto della difficile situazione economica del panettiere, inventa un dolce che realizza di notte aggiungendo all’impasto del pane degli ingredienti che compra vendendo dei falchi del duca: zucchero, burro, uova, cedro e uva passa. Il pane speciale del panificio di Toni diventa così famoso da eclissare sia il furto dei falchi- il duca lo perdona- sia la differenza di ceto, perché il padre di Ughetto acconsente alle nozze fra i due innamorati.
La terza leggenda vede invece suor Ughetta, cuoca in un convento poverissimo, mettere insieme pochi ingredienti per creare un dolce che rallegri le consorelle in occasione del Natale. Prima di infornarlo vi incide sopra una croce, benedicendolo. Il risultato è un dolce così buono e bello che i milanesi, per poterne avere un po’, accorreranno al convento amplificando le offerte e risollevandone le sorti.
Nella seconda metà dell’Ottocento le testimonianze di pasticceri che realizzano panettoni si moltiplicano. Si tratta di una produzione che è ancora esclusivamente artigianale ed è rivolta a un pubblico ristretto. Si instaura anche l’abitudine, diffusa ancora oggi, di spedire panettoni come ringraziamento per collaborazioni di lavoro.
Nel primo dopoguerra l’introduzione del lievito madre e l’aggiunta di più uova e burro arricchiscono la preparazione del dolce e fanno sì che essa richieda l’uso di uno stampo, che vede il panettone slanciarsi verso l’alto e nello stesso tempo verso l’industrializzazione e, quindi, la diffusione di massa. Assieme all’amico e rivale pandoro, inventato 150 anni dopo, precisamente nel 1884, il panettone arriva su tutte le tavole e diventa il dolce tipico del Natale italiano.
Ancora oggi, già da novembre, i panettoni industriali si accalcano sugli scaffali del supermercato. Anche numerose pasticcerie hanno elaborato una loro tradizione, e offrono esperienze del palato che vale la pena provare.