Cosa è meglio fare quando si vuole orientare le persone verso determinate scelte? Porgere loro un invito esplicito, stabilire un divieto oppure optare per una “spinta gentile”? Secondo i ricercatori di Cambridge, autori di un recente studio basato anche su indagini all’interno dell’ateneo, la terza opzione sarebbe la migliore.
La direzione di Cambridge ha recentemente deciso di invogliare gli studenti a seguire un’alimentazione più ecosostenibile, basata sul consumo di pietanze vegetali. Tra le strategie al vaglio c’era quella di aumentare il costo delle pietanze onnivore in mensa ma alla fine ha prevalso una soluzione diversa: raddoppiare, semplicemente, le opzioni vegetariane nel menù. Il risultato è stato sorprendente: anche senza sopprimere l’alternativa onnivora, il consumo di menù vegetariani è aumentato dal 41% al 79% in un breve lasso di tempo.
Questo esempio, che poi è confluito in uno studio, dimostra la forza della “spinta gentile”, tecnicamente sintetizzata nel termine nudge (“pungolo”). I ricercatori sono convinti che, per invitare le persone a scegliere un’opzione in luogo di un’altra, sia sufficiente intervenire sull’architettura della scelta, orientando senza convincere né forzare.
D’altra parte la teoria del nudge, a livello pratico, è utilizzata da anni dalle attività commerciali: entrando in qualsiasi negozio o supermercato ci si trova all’interno di un vero e proprio percorso guidato. Perché gli alimenti più costosi o attraenti si trovano sempre all’altezza degli occhi? Eppure nessuno vieta di scegliere un prodotto che si trovi sotto o sopra! La disposizione dei cibi negli scaffali segue precisi criteri di “invito implicito” che possono essere paragonati al nudging teorizzato dai ricercatori di Cambridge.
Il fatto è che – e un buon commerciante lo sa benissimo – l’invito diretto e la costrizione celano dei rischi: se una persona si sente forzata, potrebbe reagire in modo rifiutante pur di riaffermare la propria libertà. Le televendite telefoniche, così rapide e “violente”, non provocano forse una reazione di rifiuto istintivo in tante persone che potenzialmente sarebbero interessate all’acquisto? Chi fa nudging non ha bisogno di guidare le persone tramite una diminuzione percepibile della libertà di scelta: questa strategia agisce in un modo tanto impalpabile quanto efficace.
In realtà la libertà di scelta, pur sempre teoricamente presente, risente dell’architettura che il commerciante, il politico o l’economista tessono intorno al soggetto consumatore o elettore. Infatti, la teoria del nudge agisce su raffinati meccanismi mentali, comprendendo e sfruttando l’umana tendenza alla routine. Tutti noi, nel corso delle nostre giornate, ci affidiamo a consolidati rituali comportamentali che si ripetono infallibilmente e che ci consentono di consumare meno energie mentali. Così, per tornare all’esempio dello scaffale del supermercato, pur potendo scegliere i cibi che si trovano molto in alto o molto in basso, non lo facciamo e continuiamo a prendere quelli che si trovano all’altezza del nostro occhio. Quando una persona svolge un’attività in qualunque modo legata al meccanismo della routine non utilizza appieno le proprie facoltà mentali e perciò cade, senza alcuna costrizione, nella sottile rete del nudge.
In ogni caso, la teoria del nudging può portare a incredibili vantaggi. Prima di tutto, pratici. Negli anni ‘90 l’Amsterdam's Schiphol Airport decise di applicare su tutti gli orinatoi maschili degli adesivi a forma di mosca. Inconsciamente, gli utenti “prendevano la mira” cercando di centrare la mosca, sporcando meno e rendendo più semplici le operazioni di pulizia. Chi sviluppa i software dei bancomat, per risparmiare carta e inchiostro, rende più semplice e immediata per gli utenti la scelta dell’opzione “senza stampa” creando un tasto più grande e ben posizionato: così molti utenti sono portati inconsciamente a compiere un gesto ecologista.
Un altro esempio, di ben altro tenore: da quando in Paesi come Francia, Spagna e Austria si è introdotta la regola del “silenzio assenso” sulla donazione degli organi, questa ha avuto un’impennata incredibile. La regola prevede che ogni cittadino deceduto sia considerato un possibile donatore, a meno che non metta per iscritto il proprio rifiuto a subire tale operazione. Rovesciare la questione e chiedere un esplicito assenso ridurrebbe in modo drastico il numero dei potenziali donatori. Infatti, in Paesi come il Regno Unito dove per diventare donatori occorre iscriversi a uno specifico registro, prevale spesso la pigrizia: anche se il 75% degli inglesi si dichiara disposto a donare i propri organi, coloro che realmente sono iscritti al registro sono solo il 38%. In Italia, dove da alcuni anni l’iscrizione al registro dei donatori è più semplice (può essere fatta al momento del rinnovo della carta d’identità), il numero dei donatori è comunque aumentato di gran lunga rispetto agli anni passati.
Il nudging, però, non funziona sempre: come fanno notare molti esperti, per ridurre problemi di grande entità come quello del surriscaldamento globale, non è sufficiente rendere semplici le scelte ecologiche, ma è anche necessario introdurre tasse e divieti specifici: alcuni Stati USA hanno provato infatti a focalizzarsi soltanto sull’incentivo “gentile” per modificare le scelte della popolazione, salvo accorgersi poi che non bastava.