Daimon è una parola greca che significa, semplicemente, “demone”. Oggi per noi questa parola ha un significato negativo, perché identifica una presenza soprannaturale malvagia. Invece, per gli antichi, il mondo era popolato da demoni buoni e cattivi, in egual misura. Ogni uomo sperava di avere un demone buono dalla propria parte e quando creava, amava, aveva fortuna, riteneva di essere stato posseduto proprio da lui. Ecco perché la parola “felicità”, in greco antico, si diceva “eudaimonia” (=essere posseduto da un buon demone).
Una leggenda narra che il filosofo Socrate, a un certo punto della vita, venne posseduto da un demone buono che gli rivelò la propria vocazione. Anche Goethe, come emerge dai suoi libri, era convinto di essere stato “catturato” da un buon demone che ringraziava continuamente. La parola greca daimon è poco usata oggi e, soprattutto qualche centinaio di anni fa, era corrente designare questa sorta di spirito con l’analogo termine latino: genio! Oggi diciamo, ad esempio, che Einstein era un genio, ma tanto tempo fa si sarebbe detto che “aveva” genio! I poeti, prima di cominciare le loro opere, spesso invocavano proprio lui, il genio, affinché li assistesse nell’impresa.
Secondo lo psicologo Carl Gustav Jung, ognuno di noi possiede il suo “demone” e per realizzarsi pienamente deve scoprirlo. Il daimon diventa così l’equivalente della vocazione, dell’energia positiva e creativa che ciascuno possiede.
Diventa allora centrale scoprire il proprio demone e risvegliarlo. Anche se il daimon esiste dentro di noi dalla nascita, la vita in società e le convenzioni potrebbero sopirlo, anestetizzarlo. Scoprire il proprio genio e riportarlo alla luce significa compiere un profondo scavo dentro di sé. Il daimon è la quintessenza della creatività e quindi è possibile che gli altri non lo comprendano: le idee che ci ispira potrebbero essere originali o strambe, coraggiose o temerarie. Secondo lo psicologo esistenzialista Rollo May vivere seguendo il proprio genio è un’impresa difficile, ricca di ostacoli, ma in grado di regalare le migliori soddisfazioni.
Ascoltare la propria essenza non significa, è bene sottolinearlo, cadere vittima delle proprie pulsioni. Il daimon parla, ma perché i suoi consigli siano fruttiferi richiede un grande livello di impegno, coraggio e disciplina. Seguire il proprio daimon non significa, secondo questi psicologi, aderire al canone del “genio e sregolatezza” responsabile delle fini tragiche di tanti artisti. Il daimon può spingere a traguardi inediti, imprese ardite, perfino pensieri dissimili dalla massa, ma è sempre orientato al dominio di sé, alla calma… insomma, alla felicità. Chi ha smesso di lottare contro il proprio daimon e cammina al suo fianco è tutt’altro che uno squilibrato. Aristotele diceva infatti che la felicità è “vivere in armonia col proprio buon demone”.
Scoprire, apprezzare e far crescere questa come altre parti di sé è importante per ciascuno per diventare maturo, conquistare un rapporto pieno con sé e gli altri, raggiungere i traguardi desiderati.