Per noi italiani, abituati da secoli a dominazioni straniere e a migrazioni dentro e fuori la nostra penisola, il tema delle origini ha una grande importanza. Ciò che avviene in tutto il mondo, cioè che con le radici familiari si ereditano un insieme di valori, una cultura, una mentalità, una lingua è per noi particolarmente vero, pensiamo solo ai tanti dialetti che si parlano nella nostra nazione. La frequente emigrazione dei giovani, la cosiddetta “fuga dei cervelli” e la presenza allo stesso tempo di tanti italiani di “seconda generazione” complica ulteriormente il tema delle radici e di come viene vissuto questo genere di eredità.
Non c’è un modo giusto o sbagliato di vivere le radici che abbiamo. Alcune persone abbandonano la città dove sono nate controvoglia e con grande dolore, mentre altre desiderano genuinamente “trapiantarsi” e trasferire tutto il loro albero (radici e foglie) in un altro posto. A volte questo è necessario per trovare una propria vera identità, mentre magari nel luogo e nella famiglia d’origine l’evoluzione e la maturazione non sono possibili.
Dove possiamo collocare le nostre radici? Nel luogo in cui siamo nati o nel luogo d’origine del cognome che portiamo? Nel luogo in cui abbiamo frequentato le scuole elementari o nella città dove ci siamo trasferiti dall’università in poi? La domanda è complessa perché la risposta determina la nostra identità, la quale non ci è assegnata da qualcuno di esterno ma è un fatto personale, fondante per l’io di ciascuno. Quanto spesso, sbagliando, vogliamo forzatamente assegnare a qualcuno un’identità nella quale non si riconosce, ingannati magari dal colore della sua pelle, dal suo accento o dal suo cognome!
Possedere un’identità correlata a un luogo è estremamente importante per la maggioranza delle persone. Anche i popoli nomadi o esuli, che tradizionalmente non hanno mai posseduto una terra propria, tendono a cercare questa identità nel loro sangue e a difenderla in modo molto energico (pensiamo agli ebrei, che per migliaia di anni hanno vissuto in luoghi diversissimi sentendosi comunque parte di uno stesso popolo). Una tendenza “conservativa” c’è anche nella legge italiana, che come è noto trasmette la cittadinanza con lo ius sanguinis. Alcune persone, soprattutto in tempi recenti, sono più insofferenti al tema delle radici, preferendo proclamarsi “cittadini del mondo” e trovando la propria nazione in se stessi, ma la stragrande maggioranza, volente o nolente, identifica in un luogo o in una famiglia la propria identità. Alcuni giungono persino a rivendicare la propria appartenenza al luogo d’origine dei genitori, dove magari non hanno mai vissuto, come atto di opposizione rispetto alla realtà in cui si trovano a vivere. In questo caso, tale identità “ribelle” è spesso composta di radici immaginarie.
Quando le radici sono un problema? Di solito, quando frenano una persona e tendono a relegarla in un angolo dove non può crescere bene, come una pianta che riceve poca luce o ha poca terra a disposizione. Limitare l’identità di una persona al luogo in cui è nata, alla religione con la quale è stata cresciuta, al dialetto che parla è estremamente limitante, ed è ancora peggio quando la persona che sottoponiamo a tale giudizio stereotipato siamo proprio noi. Le radici sono una parte fondamentale della persona ma sono, appunto, solo una parte: possono influenzare il modo di vedere il mondo, le idee, l’etica, ma non dovrebbero mai sovrastare la sensibilità individuale e la libera scelta, e neppure il libero movimento all’interno del mondo. Le radici sono una piattaforma, una base sulla quale costruire qualcos’altro, che è molto più intimo e più libero di quanto non possa sembrare.
E tu che rapporto hai con le tue radici? Quanto pensi siano importanti per te?