Un quesito che interessa chi è appassionato di comportamenti umani riguarda la grande difficoltà che tutti, o quasi, sperimentano nell’ammettere i propri errori. Non si tratta solo del diffusissimo “scarica barile” che connota un po’ tutti, da chi ha un briciolo di responsabilità fino ai politici di alto livello; si tratta anche del fatto che molte persone, anche quando si scusano, fanno passare il danno da loro provocato come incidentale, involontario: dicono “mi dispiace” ma non dicono “ho sbagliato”. La responsabilità nei confronti degli errori può essere considerata un tabù nella nostra società?
È così: viviamo in un mondo contraddistinto dal paradigma dell’infallibilità: anche se la psicologia ha dimostrato che gli “dèi” sono più amati quando commettono ogni tanto degli errori, sempre di “dèi” si parla. La scienza pone l’enfasi sul fatto che ogni grande scoperta passa attraverso innumerevoli errori ma noi vediamo soltanto il risultato finale e dimentichiamo gli errori. La spada di Damocle della cosiddetta “instagrammabilità” fa il resto, dentro e fuori la rete.
Al di là del condizionamento sociale, ci sono altre ragioni per cui una persona potrebbe negare costantemente i propri errori:
Sbagliare è ciò che ci rende umani. Nessuno di noi è perfetto ed è giusto così. Ammettere i nostri errori è una grandissima opportunità di crescita personale, non una sottolineatura del fallimento, non una condanna a vita. Dovremmo essere tutti un po’ più in grado di ammettere i nostri sbagli e di accogliere in maniera positiva anche le “confessioni” degli altri.
A volte l’errore presuppone una colpa, a volte no. Si sa che a volte le colpe necessitano di una punizione, ma questo non toglie valore all’ammissione di responsabilità, che conviene sempre, aiutando anche la riabilitazione nei confronti di eventuali persone offese. Per questo il tabù della fallibilità dovrebbe essere accantonato e il concetto di punizione ridimensionato, mentre il valore della responsabilità dovrebbe essere insegnato con particolare enfasi anche alle generazioni più giovani.