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    Siblings: l’esperienza di essere fratelli di persone con disabilità
    Cosa significa essere fratello o sorella di una persona disabile e quali sono i problemi da affrontare fin dall’infanzia.

    La vita delle persone con disabilità è dura e spesso i loro problemi sono troppo sottovalutati. Ancor meno conosciuti dall’opinione pubblica e dalle istituzioni statali sono i disagi dei “siblings”, i fratelli delle persone disabili.

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    Essere “sibling” può essere davvero dura fin dall’infanzia, quando ci si può sentire trascurati e messi in ombra dalle esigenze del fratello più fragile, fino all’età adulta quando si diventa caregiver a tutti gli effetti.

    Mentre per i genitori l’accudimento del figlio, che abbia o meno una disabilità, è un fatto naturale, questi fratelli devono farsi carico di un peso che i loro coetanei spesso non portano: devono essere forti e indipendenti anche più di quanto la loro età richieda per conformarsi alle esigenze speciali della famiglia.

    Spesso questi bambini, ragazzi e giovani adulti vengono visti, miopemente, in qualità di futuri responsabili del fratello quando i genitori non ci saranno più, oppure vengono caricati di tutte le aspettative che non si possono rimettere nell’altro figlio in quanto disabile.

    Essere un “sibling” può essere un’esperienza gratificante e ricca di significato, a patto però che i genitori non trascurino il vissuto particolare e le esigenze emotive del figlio fin dalla tenera età. Essere fratello di una persona disabile può portare infatti sentimenti intensi e contrastanti:

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    • Colpa: molti “siblings” sono perseguitati dal senso di colpa per essere dei privilegiati rispetto al fratello, godendo di una migliore salute. Molti giovani “sibling” arrivano quasi a convincersi di essere la causa della disabilità del fratello.
    • Isolamento: un “sibling” potrebbe sentirsi molto solo nella sua infanzia, trascurato sia dai genitori che dal fratello che non può prendersi cura di loro.
    • Rabbia: i “sibling” possono arrivare a odiare il fratello disabile dando a lui la colpa di monopolizzare l’attenzione della famiglia.
    • Vergogna: i piccoli “sibling” possono avere paura di essere bullizzati per via dei comportamenti o delle esigenze “anormali” del loro fratello.
    • Ansia e perfezionismo: quando i genitori ripongono tutte le loro speranze in uno solo dei figli, questo può sentirsi eccessivamente pressato e andare incontro ad ansia e depressione.
    • Crescere troppo in fretta: è bene ricordare che i “siblings” sono bambini e non devono assumersi responsabilità da adulti, pena la dolorosa sensazione di aver perso l’infanzia.
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    Avere un fratello o una sorella con disabilità può rappresentare un arricchimento, se tutta la famiglia si mobilita per riconoscere e affrontare i problemi del giovane “sibling”.

    Le persone cresciute con un fratello disabile diventano di solito adulti molto empatici e responsabili, in grado di guardare oltre i limiti e le paure e capaci di adottare uno sguardo compassionevole nei confronti del diverso. Queste persone hanno una maggiore profondità di pensiero della media e grandi capacità di resilienza, sono anche bravi ad esprimersi e possono essere ottime guide al lavoro e in famiglia.

    Oltre ai genitori, parte della responsabilità di rendere migliore la vita di un “sibling” (bambino o adulto che sia) ce l’ha lo Stato: finché saranno ancora le famiglie a doversi assumere la maggior parte del carico delle esigenze dei disabili, essere “sibling” o “caregiver” sarà a tutti gli effetti un lavoro usurante e non retribuito.

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