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    "Due cuori e due capanne": le relazioni senza convivenza
    Si chiamano LAT (Living Apart Together) e sono le coppie che non vogliono convivere. Perché questo stile di vita sta prendendo piede anche nel nostro Paese? Ha più vantaggi o più svantaggi?

    Una delle cose più "naturali" che ci aspetteremmo da una coppia, magari unita da diverso tempo, è che questa voglia prima o poi sperimentare la convivenza. Questa sembra a molti la naturale evoluzione di un rapporto d'amore stretto e appagante: ma non per tutti è così!

    Convivere è difficile: richiede un grande spirito di adattamento perché implica una rimodulazione totale dei tempi e degli spazi personali. Ecco, è proprio questo che una determinata percentuale di coppie non vuole affrontare.

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    Un acronimo inglese le chiama LAT cioè Living Apart Together ("vivere insieme separati") e sono coppie che, nonostante siano unite da un legame forte, non hanno intenzione di convivere.

    L'acronimo è in lingua inglese, non a caso: si tratta di un fenomeno che nasce all'estero, specialmente nelle grandi metropoli, ma sta attecchendo anche in Italia.

    Secondo i dati raccolti dal sito di incontri internazionale Parship.com, sono sempre di più le persone che desiderano trovare l'amore, senza però sognare un matrimonio o una convivenza.

    Dall’indagine svolta è emerso che sono le donne le meno portate alla convivenza: tra le giovani single, il 18% ha ammesso di volere essere fidanzata ma senza convivere con il partner.

    Tra gli uomini, soltanto l’8% desidera invece mantenere l’indipendenza a livello domestico.

    Si tratta di una minoranza, tutto sommato, che all'estero raccoglie numeri molto più importanti rispetto all'Italia ancora affezionata al mito di "due cuori e una capanna". Ma chi vuole mantenere "due capanne" esiste, e non è detto che sia meno innamorato degli altri.

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    Come funzionano, però, queste relazioni? La separazione domestica le rende più solide, o è il contrario?

    “Vivere separatamente crea l’illusione di una serie di vantaggi” spiega la psicoterapeuta Cristina Lanza: “Non bisogna però dimenticare che una scelta di questo tipo richiede apertura mentale e, soprattutto, una condivisione della scelta stessa, affinché per nessuno dei due si trasformi in motivo di sofferenza. Soltanto a queste condizioni questo stile relazionale può promuovere l’unione e la felicità”.

    I lati positivi della non-convivenza sono molteplici: ci si sente tendenzialmente più tranquilli, più sereni perché ancorati alla routine quotidiana sedimentata negli anni. Sono meno, infatti, i timori relativi alle aspettative dell'altro su temi come lavori domestici e pulizia, è più facile mantenere i punti saldi delle proprie giornate come sveglia, uso del bagno, ecc.

    Inoltre, la non-convivenza fa sembrare una relazione meno routinaria, in quanto gli incontri con il partner sono generalmente legati al divertimento e non al caricamento della lavatrice e i momenti di noia sono meno frequenti. Questo porta i fidanzati a curare un po' di più i momenti di vicinanza, che sono sempre dei piccoli appuntamenti, e a curare di più anche se stessi, privilegiando una versione vestita e pettinata di sé rispetto a una quotidianità "impigiamata".

    Infine, il senso di libertà in queste coppie è più alto: ognuno è libero di vedere l'altro quando desidera e di dedicarsi più intensamente a lavoro e hobby.

    Quest'ultimo è, però, il punto potenzialmente dolente. Siamo proprio sicuri che convivere voglia dire perdere la propria libertà? Davvero abitare insieme implica tutte quelle negatività che i LAT sostengono di evitare? Non si tratta piuttosto, alcune volte, di una paura della convivenza che spinge queste coppie a restare a casa propria?

    Cristina Lanza afferma infatti: “I vantaggi del vivere separatamente sono tali nella misura in cui la coppia li avverte come tali. Se dovessimo fare un discorso analitico su questa condizione, dovremmo considerare che questo stile relazionale nasce da una difficoltà - particolarmente sentita oggi - ossia quella di vivere l'impegno di una relazione stabile e pienamente coinvolgente senza volersi sentire del tutto impegnati e responsabilizzati verso l’altro."

    In poche parole, non sempre la scelta di non convivere è del tutto sana, anzi è dettata da una "paura dell'impegno" davvero diffusa nelle relazioni moderne. A volte, la mancanza di condivisione totale aiuta a tenere in piedi una relazione che si preannuncia già traballante e che alla prova della convivenza crollerebbe.

    Detto questo, l'aumento di questo tipo di coppie ha anche una motivazione "altra": sempre più persone, dopo aver lasciato la casa dei genitori, vanno a vivere da sole per un certo tempo. Cosa, questa, che nel passato non accadeva, perché si passava più spesso dalla casa paterna alla casa coniugale. Questa esperienza solitaria, per alcuni, è decisamente appagante ed è quindi più difficile rinunciarvi.

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    Sia quel che sia, le coppie dovrebbero essere sempre molto chiare sulle loro aspettative di vita e fare sì che queste siano condivise, ascoltando equamente la natura e i desideri di entrambi senza trasformare la scelta di convivere in una imposizione.

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     Commenti (1)
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    1. sottileconfine, Roma (Lazio)
      E' entrata prepotentemente nel linguaggio comune la parola resilienza, perché la complessità e il dinamismo dei rapporti interpersonali ai quali la società moderna ci pone di fronte, richiede quel mix di resistenza personale e adattamento comportamentale alle nuove situazioni. Da qui anche il mutare del rapporto di coppia, molto efficacemente sintetizzato nel titolo di questo articolo. Del resto una relazione di coppia non è forse basata su di un equilibrio reciproco che consolidi quella relazione senza però rinunciare alle prerogative personali? Ben vanga dunque il Living Apart Together, inteso però non quale mera situazione di comodo per rifuggire dalle regole non scritte di un rapporto amoroso.
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