In psicologia inibizione è sinonimo di limitazione, consapevole o no, di un comportamento che deriva da impulsi o desideri. Essa incide molto nei rapporti interpersonali in quanto attenua o impedisce il verificarsi di determinati comportamenti sia in senso positivo (es. manifestazioni affettive) che negativo (es. scatti d’ira).
L’inibizione consapevole è un fenomeno comune nella vita di ogni persona e si verifica ogni volta che si manifestano due desideri in conflitto fra loro; si parla in questi casi di capacità di inibizione (o controllo inibitorio) che permette al soggetto di regolare il proprio comportamento in modo da generare una risposta adeguata rispetto all’obiettivo che si era prefisso.
Alcuni esempi pratici potrebbero essere la necessità di seguire una dieta per perdere peso e quindi di autoregolamentarsi con il cibo. O ancora, quella di risparmiare del denaro e quindi di autoregolamentarsi sulle spese. Entrambe le situazioni esprimono un conflitto interno e generano l’esigenza di “inibire” determinati comportamenti che, se esplicitati, non consentirebbero il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il controllo inibitorio consente altresì alla persona di interagire con l’ambiente che la circonda. Se è vero che chi possiede un livello altro di autocontrollo ha più strumenti per adattarsi al mondo esterno, è più integrato nella società, si dimostra più capace di rispettare regole sociali condivise e tende ad effettuare scelte di vita più equilibrate. Infatti un’eventuale perdita di inibizione potrebbe, in casi gravi, avere carattere patologico e portare il soggetto verso atteggiamenti antisociali.
L’inibizione inconscia si traduce in un meccanismo di “difesa” inconsapevole mediante il quale la persona blocca o evita alcune azioni per non provare l’ansia che queste potrebbero produrre o allontanare il rischio di eventuali sofferenze emotive. E qui entriamo nel campo dell’inibizione affettiva che si traduce nella difficoltà ad identificare ed esprimere emozioni e sentimenti. In molti soggetti deriva da fattori socio-culturali e da esperienze maturate in età infantile, laddove alcuni comportamenti spontanei potevano diventare oggetto di rimprovero da parte degli adulti (pensiamo al riso o al pianto in determinate situazioni).
Come si riconosce esternamente l’inibizione affettiva e come superarla? Il tratto più caratteristico è la freddezza negli atteggiamenti seguita magari da una postura rigida e lenta, poca spontaneità, una vita sociale scarsa, modi di fare seri o poco fantasiosi, la tendenza ad avere legami improntati alla dipendenza. Per riassumere: l’incapacità di stabilire legami profondi con gli altri, accompagnata da una forte sofferenza interiore perché tacitare le emozioni alla lunga “avvelena l’anima”.
C’è da dire che spesso, per una sorta di compensazione, le persone affettivamente inibite tendono a ricercare partner emotivi e può succedere che si riesca a trovare un equilibrio di coppia; in altri casi invece possono generarsi enormi conflitti a causa della quotidianità che non riesce a smussare le differenze di personalità.
Una volta identificata, come può reagire una persona all’inibizione affettiva?
Innanzitutto facendosi aiutare da esperti che, attraverso una relazione terapeutica empatica, possano dare stimoli per riempire il vuoto emotivo; la persona viene aiutata a percepire meglio la propria identità, a concentrarsi sulle capacità di autocontrollo e su modalità spontanee di comunicazione. All’esterno ci sono attività che possono aiutare a tirar fuori le emozioni, quali ad esempio corsi di teatro e danza i quali agiscono in contemporanea sul corpo e sullo spirito, oppure sport che, attraverso la competizione, risvegliano una sana istintualità.
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