La grande disponibilità data inizialmente a una persona appena conosciuta che nasce da uno slancio spontaneo; le parole di forte coinvolgimento espresse fin dal primo bacio che raccontano qualcosa che, in quel momento, sentiamo davvero; la promessa di una collaborazione professionale fatta a un amico in difficoltà lavorativa che proviene da un sincero desiderio di aiutarlo. Magari siamo sinceri, in tutti e tre i casi. Il problema è quando, in tutti e tre i casi, non riusciamo a mantenere quel che abbiamo fatto intendere. A volte l’entusiasmo cala velocemente, altre volte abbiamo fatto male i conti con le reali nostre reali possibilità. Sta di fatto che l’altro si è illuso, ha sperato, si è coinvolto, e ora ha a che fare con una realtà ben diversa. Può sentirsi rifiutato, ingannato, trattato con superficialità. Reagirà passivamente? Polemicamente? Aggressivamente? Dipende dalla persona. Ma una cosa è certa: creare illusioni è una strategia, purtroppo assai diffusa, con tante conseguenze negative.
Capiamo il perché piacere a tutti i costi allontana l'autostima
Illusione deriva dal latino: in ludus. Letteralmente: nel gioco. Trascinare nel gioco, “farsi gioco” di qualcuno. C’è dunque una componente infantile, per certi aspetti candida, nell'illudere qualcuno. Una sorta di immaturità relazionale: per vincere la propria insicurezza e la sensazione di non bastare come persona, quasi di riflesso “si vende” all'altro una speranza, una magia, grazie alla quale si cerca di garantirsi accettazione e stima, e magari anche un atteggiamento di dipendenza. Alcuni di noi lo fanno davvero senza accorgersene e viaggiano di relazione in relazione vendendo sogni, creando incanti, per poi rigorosamente deludere, scappando dal gioco
Non stiamo parlando di manipolatori cinici: parliamo dell’illusione spontanea, del piacere compulsivo di impostare una relazione su un inganno iniziale. Un inganno che incanta il diretto interessato di quel momento, ma che, in un’ottica più ampia, inganna la persona stessa che lo attua, che non riesce a stabilire relazioni vere e durature. Illude e delude, e non riesce a uscire dal suo automatismo. Non solo: nel tempo è costretto a cambiare giri di amicizie, perché si diffonde la fama di persona poco seria e inaffidabile. Che peccato! Se soltanto riuscisse a trattenersi dal fare la magia e si proponesse per ciò che è, vedrebbe che i rapporti avrebbero più chance di durare. Come si può fare per uscire da questo vicolo cieco? I latini la chiamavano "captatio benevolentiae", capacità di procacciarsi la benevolenza altrui in modi non sempre cristallini
È qualcosa che sconfina nella seduzione compulsiva, nella necessità, che è più dalla parte di chi la offre che di chi la riceve, di essere subito accettati, di trovare un sorriso, un gesto di riconoscenza, di venire accolti sempre a braccia aperte. E che, nel suo automatismo, rivela un po’ di ciò che nasconde: l’incapacità di sopportare il dissidio, la freddezza, quel naturale imbarazzo che nasce dalla distanza che esiste tra esseri umani, il volerla superare non poco alla volta, costruendo un terreno comune, ma tutta d’un colpo, di slancio appunto, con una magia. Non sopportando di venir giudicati meno che meravigliosi, si preferisce apparire con l’aspetto della fata buona. È tale il piacere che provoca il sorriso che scatta nell'altro, che diventa una droga di cui non si può fare a meno. È tale la paura di deludere, che si finisce per deludere molto di più. Un atteggiamento moralista direbbe a questo punto: non bisogna illudere, non è giusto! Ma l’anima ama la magia e rifiuta i moralismi, se crea la magia a bella posta forse c’è qualcosa di più profondo in gioco.
Perché queste persone non sono capaci di sostenere nel tempo ciò che in loro scatta all'inizio? La risposta può stupire: perché non credono abbastanza alle proprie magie. In molti casi, infatti, quel che fanno sperare potrebbe anche diventare reale, se solo riuscissero a non farsi impressionare da un fisiologico calo di entusiasmo o da una momentanea difficoltà. Si diventa “illusionisti” solo perché non si riesce ad andare oltre l’inizio. Ma come per i bambini il gioco è una faccenda molto seria, così dovrebbe essere per chi si mette troppo in gioco. C’è sempre del vero in quegli inizi entusiastici: forse non è qualcosa che rientra esattamente in uno schema standard (un’amicizia solida, un amore eterno, l’occasione lavorativa dell’anno), e per questo l’entusiasmo sfiorisce; ma l’anima non vuole gli standard, vuole che troviamo il “nostro” modo di essere amici, di amare, di essere solidali. E forse ci fa provare e riprovare quell'entusiasmo proprio per farcelo trovare, perché conosce la nostra unicità e ci spinge a farla emergere. In un modo o nell'altro.