Giacomo Leopardi scrisse che la pazienza è “una virtù eroica”, ma dal canto suo Edmund Burke scrisse anche che “c’è un limite oltre il quale la pazienza smette di essere una virtù”. In effetti, è proprio così.
Se pensiamo al significato etimologico della parola pazienza, arriviamo all’originario significato latino di “dolore, sofferenza”. Il paziente è colui che soffre (non a caso la parola si utilizza anche in ambito medico) ma nonostante tutto va avanti e continua a vivere e lottare. Quindi la pazienza è una grande virtù perché rappresenta la capacità di tollerare qualsiasi tipo di fastidio o dolore, dal più piccolo al più grande, senza cedere.
Nel mondo contemporaneo la pazienza rappresenta, in molti casi, una virtù da allenare. Per fare un esempio a noi vicino, l’attuale situazione epidemiologica ha costretto negli ultimi due anni gli italiani a fare lunghe, interminabili file per accedere ai servizi primari. Rispettare queste file e questi disagi ha rappresentato e ancora rappresenta, a livello sociale, un grande esercizio collettivo di pazienza.
Ma c’è un ambito nel quale tendiamo al contrario ad averne troppa, di pazienza: si tratta dell’ambito affettivo. L’amore si abbina sempre a una certa quota di pazienza, specialmente quando nelle fasi critiche del post-innamoramento si scoprono e si affrontano i difetti propri e del partner. Ma per chi è caratterizzato dalla dipendenza affettiva la pazienza si trasforma in un meccanismo autopunitivo senza fine.
Il/la dipendente affettivo/a tende a sopportare fin troppo: tradimenti, mancanza di rispetto, addirittura forme sottili o palesi di violenza. Il punto è che la pazienza è una virtù solo quando ne vale la pena. In altre parole, sopportare un evento sgradevole, un litigio, persino un tradimento è giusto se il rapporto di coppia è squilibrato o perturbato solo momentaneamente, quando rimane in generale la certezza dell’esistenza di un amore e di un rispetto per l’altro. Troppo spesso invece chi è propenso alla dipendenza affettiva si fa maltrattare da persone che di fatto non lo meritano perché non lo rispettano e non lo nutrono interiormente: questa sofferenza che rasenta l’autolesionismo non è utile, non “ne vale la pena”.
Il limite con il quale si scontra la pazienza è, infatti, l’amor proprio, il quale non è affatto una brutta parola: coincide non con l’egoismo e con il narcisismo, ma con il rispetto per sé, per la propria anima.
La troppa pazienza nasconde spesso una paura interiore: quella di essere rifiutati e abbandonati. Ecco perché, pur di evadere da questa possibilità, si tende ad accettare molto più del necessario o addirittura si arriva a non saper dire di no. Comprendere e affrontare le cause della pazienza eccessiva, spesso legata come abbiamo detto alla dipendenza affettiva vera e propria, può consentirci di correggere il nostro agire verso un comportamento più equilibrato e sano, più rispettoso di noi stessi.
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