Sembra che nella nostra natura umana sia insita una sorta di attrazione per notizie o argomenti di conversazione negativi o preoccupanti. Questa propensione naturale, che evidentemente è sempre esistita, trova oggi il suo terreno più fertile all’interno dei social network. Negli ultimi due anni di pandemia l’informazione acquisita via social è stata una componente essenziale nella vita di molti italiani, tant’è che Facebook si è dotato di un’apposita sezione informativa sul Covid-19 e che persino l’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte aveva basato la propria strategia comunicativa sull’utilizzo delle dirette social.
Secondo alcuni psicologi, però, quello che è chiamato in inglese doomscrolling o doomsurfing, cioè la ricerca continua e quasi ossessiva di news allarmanti sui social, può dar luogo a una sorta di piccola dipendenza in grado di alimentarne un’altra, più grave e diffusa: la dipendenza da smartphone. E i giornali online, con il loro tam tam di notizie spesso incoerenti o incomplete, non fanno altro che incoraggiare tutto ciò.
Leggere cattive notizie genera ansia, eppure sembra che questa sensazione etichettata generalmente come negativa possa essere in qualche modo assuefacente, forse un riparo nei confronti di sentimenti più intensi e distruttivi come la paura o l’umor depresso. L’accanimento con cui sono stati divulgati e seguiti, di giorno in giorno, i bollettini dei contagi è stato sintomatico in questo senso. E più la catastrofe è avvertita come vicina a sé, più si è spinti a ricercare notizie in merito, stando a quanto affermano gli scienziati.
Secondo le ricerche di Anand (2021) per molte persone fare doomscrolling significa tentare di dare un senso a un’esperienza tensiogena che stanno vivendo: riempire il “vuoto” di informazioni con sempre maggiori dettagli colti di articolo in articolo aiuta a sentirsi meno spaventati ed impotenti. Allo stesso tempo, però, l’operazione non è del tutto trasparente. Proprio perché il doomscrolling nasce come azione “salvavita” le informazioni che vengono lette non saranno quasi mai elaborate dal cervello letteralmente: si tenderà a dare maggiore importanza alle notizie che appaiono più rassicuranti o più aderenti alla propria tesi e si darà fede anche a informazioni incomplete o false. Inoltre, l’esposizione continua a cattive notizie può alimentare lo stress e aiutare lo sviluppo delle tendenze depressive, se già presenti.
La comunicazione e la ricerca sono tra le facoltà migliori degli esseri umani e l’informazione è ciò che fonda l’appartenenza attiva a una cittadinanza, a una comunità. È però quantomai importante, nei momenti di crisi politica e sociale, fare attenzione a mantenere vigile lo spirito critico, analizzando ciò che si legge e soprattutto imparando a “staccare la spina”.
Riuscire a lasciare andare per un po’ un’abitudine ansiogena non è semplice perché spesso, soprattutto quando si tratta dei social, si fa fatica a rendersi conto di quale sia la vera ragione del malessere (in fondo, leggiamo talmente tante cose sulle nostre bacheche…). Bilanciare l’informazione “catastrofica” con un tipo di informazione più neutra (esistono magazine online dedicati esclusivamente alle “buone notizie”) o di stampo culturale è senz’altro un’ abitudine equilibrata. D’altra parte i giornali di una volta, quelli cartacei, avevano molte pagine, e fino a pochi decenni fa le pagine dedicate alle novità editoriali, cinematografiche, musicali, filosofiche e artistiche erano addirittura tra le più lette!