Parliamo oggi di un tipo di stress vissuto da molti al lavoro che è sempre più in aumento e le cui conseguenze non sono da sottovalutare, per l’impatto che hanno all’interno e all’esterno del posto di lavoro.
La rivalità tra esseri umani è di per sé una caratteristica fisiologica ed è nata alla comparsa dell’uomo sulla terra: saper distinguere tra amici e nemici è stato un elemento fondamentale per la sopravvivenza e l’evoluzione della specie. Dall’uomo preistorico in poi la gestione della rivalità tra individui è un fattore imprescindibile e colui che la sa gestire bene ne esce vincente, al netto della valenza positiva o negativa caratterizzante i motivi del contrasto.
Il sopruso di un essere umano verso l’altro è evidentemente un valore negativo mentre l’atto difensivo verso il sopruso stesso ne conferisce una valenza positiva. Ora, poiché il tema si presterebbe a riflessioni di amplissimo raggio, concentriamo l’analisi su quanto accade nel mondo del lavoro quando sorge una rivalità tra due o più persone.
Iniziamo col dire che l’oggetto di rivalità nel lavoro riguarda evidentemente e per definizione la conquista di posizioni di vertice o di vantaggi di altra natura, principalmente economici . In un mondo sempre più agguerrito sul fronte del successo, del carrierismo e dell’aumento di ricchezza in generale, la rivalità è la ciliegina sulla torta di un fenomeno assai ampio.
Purtroppo nel nostro Paese questo fenomeno, agganciato al mondo del lavoro e naturalissimo come già detto, acquista una dimensione distorta a causa di fenomeni che l’inquinano profondamente quali la carenza significativa di reali parametri meritocratici nell’assegnazione di ruoli di vertice. Ciò che quindi dovrebbe costituire un criterio univoco e universalmente riconosciuto, l’attribuzione di un incarico a una persona meritevole, lascia lo spazio ad una giungla di fenomeni distorsivi , nei quali trionfa una rivalità malata.
La persona coinvolta in questo ingranaggio, non solo non riuscirà a conquistare posizioni di potere solo con le proprie capacità ma, ammesso che ci riesca, dovrà lottare con i denti e guardarsi dai colleghi più vicini per non perdere quanto ottenuto ed essere estromessa dalla catena di comando.
È evidente lo stress che ne deriva, il doversi continuamente difendere e di riflesso il non potersi fidare dei colleghi, porta la persona non solo ad accumulare tensione e ansia ma ad inquinare il lavoro stesso che perde di qualità a discapito dello stesso datore di lavoro. Le energie maggiori si concentrano così sul creare alleanze strategiche, seguire criteri non perfettamente trasparenti, ottemperare ai diktat di qualche corrente aziendale per non perdere la posizione acquisita.
Fatti di cronaca ci raccontano addirittura di azioni lesive perpetrate da persone nei confronti di colleghi, tese a screditare gli stessi agli occhi dei vertici aziendali e prenderne successivamente il posto. Il mondo del lavoro diventa in molti casi un luogo dove quotidianamente si combatte per screditare qualche collega, corroderne la posizione e di converso per difendersi dalle mire “espansionistiche” del vicino di scrivania. Il prezzo che si paga non è certo poca cosa.
Per questo, anche se come abbiamo visto è ben difficile dare consigli o soluzioni, è quantomai importante porre confini netti tra la sfera del lavoro e quella della vita privata . Anche se spesso le rivalità in azienda non sono evitabili, evitare il più possibile di trasferire l’astio e la sfiducia imperanti anche nelle nostre case e coi nostri amici è un vero dovere nei confronti di noi stessi. Mettere nella costruzione di una cerchia sociale accogliente e positiva la stessa attenzione, se non di più, di quella che rivolgiamo alla carriera può essere utile per rendere la vita individuale migliore, segnata dalla fiducia e dall’ottimismo a prescindere da quanto avviene sul posto di lavoro.