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    Il potere della scrittura espressiva
    Scrivere ha un grande potenziale terapeutico, in particolare quando si tratta di raccontare esperienze negative vissute in prima persona.

    Il sociologo James Pennebaker è autore di un libro assai famoso dal titolo “Il potere della scrittura”. In questo scritto emerge, con vari esempi supportati da lunghe ricerche, il potenziale terapeutico di quella che Pennebaker chiama “scrittura espressiva”, ossia la trasmissione su carta di esperienze personali dolorose o problematiche. 

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    Chi non ha mai tenuto un diario da ragazzino? Questa forma di espressione, considerata naturale e spontanea, sembra essere in effetti un potentissimo mezzo di auto-comprensione e, perché no, di auto-guarigione. Non è un caso che la maggior parte dei personaggi famosi del passato sia accomunata da un particolare: tutti tenevano un diario e, fissando i propri pensieri, cercavano una comprensione più profonda del sé in grado di aiutarli a raggiungere i propri obiettivi. 

    La scrittura espressiva, secondo Pennebaker, sarebbe particolarmente utile per rielaborare esperienze dolorose e traumatiche. Infatti, un tema ricorrente quando si affrontano dei momenti difficili è il desiderio urgente di comprendere appieno ciò che sta accadendo: le situazioni stressanti o traumatiche della vita sono spesso destabilizzanti, destano confusione e senso di precarietà. Quando si passa dal vivere dei momenti nella vita reale al riportarli su carta, la mente è forzata a rintracciare un senso unificatore del tutto. Ecco perché scrivere è uno strumento fondamentale per comprendere ciò che accade intorno a sé e renderlo meno spaventoso. 

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    La scrittura espressiva, nei consigli di Pennebaker, è una pratica quotidiana. Si tratta di dedicare 15-20 minuti al giorno per circa una settimana alla scrittura, al racconto di un’esperienza traumatica. Queste tempistiche darebbero, secondo l’autore, la possibilità a chi scrive di ritornare sul tema più volte e, si spera, di cambiare prospettiva su di esso. 

    Pennebaker racconta di aver testato il potenziale della scrittura espressiva su dei volontari e di aver riscontrato una grande efficacia di tale strumento: scrivere di argomenti dolorosi che toccano in prima persona migliora decisamente la qualità della vita e la salute mentale, mentre dedicarsi al racconto di episodi “neutri” non ha lo stesso potenziale terapeutico. I benefici della scrittura espressiva non sempre sono immediati, ma possono essere compresi e “misurati” sul lungo termine. Mentre ci si costringe a rivivere minuto per minuto un episodio doloroso, è normale sentirsi più tristi e più scossi di quanto non ci si sentirebbe semplicemente ignorando la cosa e dedicandosi ad altro. Ma ogni momento che si dedica all’elaborazione delle proprie esperienze di vita si rivela, nel tempo, estremamente prezioso. 

    Scrivere di un evento che ha avuto un impatto negativo su di sé non significa cancellarlo, ma al contrario significa integrarlo nella propria vita. Di fatto, mantenere un’esperienza negativa in un angolo della propria mente senza affrontarla implica una fatica ben maggiore di quella necessaria per “liberare” l’esperienza attraverso le parole e reintegrarla nel proprio vissuto. 

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    L’idea che sta alla base della scrittura espressiva è che dire le cose come stanno (a se stessi prima che agli altri) sia fondamentale per vivere una vita felice.

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