Per una donna truccarsi rappresenta un momento nel quale prendersi cura di sé per migliorare il proprio aspetto fisico, consapevole che ciò la renderà più soddisfatta e orgogliosa di se stessa e le consentirà di proiettare il proprio fascino nell’ambiente circostante; questa operazione, per la maggioranza di donne, è quindi spontanea e naturale, un rito quotidiano al pari dell’igiene personale, una sorta di coccola rivolta all’aumento benessere psico-fisico.
Il trucco è nato nell’antico Egitto, dove non aveva solo un significato legato alla bellezza del corpo ma possedeva anche una valenza spirituale: dal momento che il corpo racchiude un’anima immortale, per gli egizi diventava esso stesso una “casa eterna” di cui prendersi cura anche in vista del passaggio all’aldilà.
Non a caso l’Egitto era il più grande produttore di unguenti e pomate (se pensiamo al rito funebre di mummificazione del corpo), conservati normalmente in preziosi vasi di alabastro; le donne egizie (ma anche gli uomini) dedicavano una cura particolare a occhi, sopracciglia e palpebre per i quali usavano tinte scure derivate da alcuni pigmenti che venivano mescolati all’acqua fino a formare un impasto. C’è da dire che truccare gli occhi aveva anche uno scopo curativo e preventivo: nel torrido clima africano, il make up aiutava ad allontanare gli insetti e a proteggersi dalla luce del sole. Era poco diffuso truccare labbra e guance mentre rientrava nell’antica moda colorare i capelli e dipingere le mani, sia le unghie che i palmi, con pigmenti di colore più chiaro, sul rossiccio, estratti da alghe e piante del luogo.
Per tornare al nostro tempo, la donna che si trucca con garbo e senza eccessi esprime il desiderio di piacere e piacersi perché i canoni estetici della bellezza passano dai lineamenti del viso prima che dal corpo; per la nostra società il trucco è un elemento puramente estetico e materiale ma che rafforza enormemente la femminilità.
Il trucco, secondo le teorie minimaliste del less is more dev’essere sobrio ed elegante, in una parola raffinato; deve poi esaltare le caratteristiche individuali del viso, come un abito su misura esalta il corpo.
Se il trucco medio o sobrio, a seconda delle definizioni, aumenta l’autostima veicolandola nell’ambiente sociale, essendo di fatto un fattore comunicativo, un trucco pesante e molto marcato non solo non è indice di eleganza ma sotto il profilo psicologico rivela qualche debolezza inconscia, un non piacersi e perciò il timore di non piacere. Il rischio in tal caso è che il raggiungimento della bellezza ad ogni costo diventi un’ossessione e possa divenire manifestazione di un disagio psicologico.
Per converso, un manifesto disinteresse per la cura del proprio aspetto fisico, un’assenza di desiderio di piacersi e attrarre, potrebbe celare una sindrome depressiva. Truccarsi non è obbligatorio, tutt’altro: ma poiché nella nostra società ancora tendiamo ad abbinare il trucco alla cura di sé, all’igiene e alla pulizia, il rifiuto di usarlo potrebbe essere eloquente.
È pur vero che, lentamente, la mentalità riguardo al make up sta cambiando. Sono sempre di più gli uomini che amano giocare col trucco, riappropriandosi di un gesto che per millenni è stato unisex e solo da alcune centinaia di anni è stato proibito loro; allo stesso tempo le donne reclamano il diritto a presentarsi al naturale, struccate, senza bisogno di adeguarsi ai canoni stereotipati.
Il trucco, come tutte le altre manifestazioni della moda, è sempre un mezzo di comunicazione di un’appartenenza, di uno stile di vita, e soprattutto della visione che si ha di sé e del proprio corpo.