Tutti noi possediamo un’identità personale, legata ai nostri bisogni e al nostro punto di vista sul mondo, e allo stesso tempo un’identità cosiddetta sistemica, grazie alla quale ci percepiamo come parte della società umana. In virtù di questa seconda identità ci alleniamo a percepire le emozioni altrui, cercando di attivare il favore degli altri nei nostri confronti con piccoli e grandi atti di generosità.
Questa massa di energia che corre tra noi e gli altri ci porta non solo emozioni positive, ma anche il cosiddetto senso di colpa, che a volte deriva da azioni reali passibili di aver leso gli altri e a volte è un costrutto più che altro immaginario. Percependo la possibilità di aver fatto del male a qualcuno, mettiamo da parte la nostra visione del mondo e ci appropriamo di quella altrui, sentendo “sulla nostra pelle” il peso delle nostre azioni.
In una certa misura, secondo la psicologia, il senso di colpa è un costrutto morale positivo, fondamento di atti di generosità e necessaria prevenzione di comportamenti troppo egoistici. Purtroppo però, molto spesso, il senso di colpa entra a far parte di noi così profondamente da rivelarsi un danno.
Chi si sente spesso in colpa senza aver fatto nulla è, spesse volte, una vittima: far sentire in colpa è una strategia molto usata dai genitori nei confronti dei figli, ad esempio, ed è anche la tattica preferita delle personalità manipolatorie. Instillare nell’altro la convinzione di aver fatto qualcosa di dannoso o di essere sbagliato in quanto essere umano significa infatti acquisire una dominanza su di lui e ottenere facilmente i propri obiettivi personali. Nel corso della crescita o dell’evoluzione del rapporto il senso di colpa si stabilizza tanto da diventare una vera e propria abitudine, un modo di approcciare il mondo “chiedendo continuamente scusa”.
Secondo gli psicologi, il senso di colpa ha però anche una base sottilmente narcisistica: chi si sente spesso in colpa tende infatti a sopravvalutare le proprie capacità e la propria influenza sulle altre persone; è come se credesse che un suo minimo gesto possa provocare negli altri conseguenze enormi e a lungo termine.
Gli psicologi sostengono altresì che il senso di colpa possa avere alla sua origine un sentimento di ostilità verso un familiare. Questa rabbia, nel tempo, si trasforma in altruismo come se si trattasse di un gioco di compensazione: vivo il senso di colpa e sono spinto a fare del bene agli altri per depurarmi della mia antica rabbia.
Quando ci si sente troppo spesso in colpa per eventi che non lo meritano, si prova un senso continuo di disagio e di stress. Ecco perché è importante capire quando il senso di colpa è motivato, derivato da una realtà oggettiva, e quando non lo è.
Una tecnica che molti suggeriscono prevede di immaginare che a compiere l’azione per la quale ci sentiamo in colpa non siamo stati noi, ma un nostro amico. Quando il senso di colpa è immotivato, si vedrà facilmente: saremo in grado di dare a quell’azione mille giustificazioni, o semplicemente non la riterremo abbastanza degna di nota da occuparcene. Chi si sente in colpa senza una ragione, infatti, sopravvaluta in modo esagerato le conseguenze dei suoi gesti e non è detto che questi siano realmente significativi. Forse questa tecnica di spersonalizzazione non basterà a superare davvero il senso di colpa, ma è un ottimo modo per ridimensionarlo.