Sulla rivista Psicoadvisor la neurobiologa Anna de Simone ha pubblicato il risultato di una sua revisione delle ricerche attuali nel campo medico e psicologico e ha asserito, con coscienza di causa, che il nostro cervello non è fatto per la vita in città.
Le ricerche revisionate, realizzate da centri universitari di diverse parti del mondo, sono ben trentasei e comparano le attività cerebrali, la probabilità di soffrire di disturbi mentali e la forza delle difese immunitarie presenti in individui che vivono in città oppure in campagna. È emerso che l’ambiente urbano sottopone a una severa prova il nostro cervello, il quale in milioni di anni di evoluzione si è ben adattato a rispondere agli stimoli naturali, ma non a quelli artificiali.
Anche se la maggior parte di noi è abituato alla vita cittadina e ai suoi rumori, il cervello continua a reagire in modo inadeguato a una tale quantità di stimoli artificiali; non ce ne rendiamo sempre conto ma i rumori forti e innaturali delle città ci fanno soffrire, mantenendo il cervello in uno stato di allerta che provoca diversi problemi. In primo luogo, abbiamo lo stress, il quale con il perdurare degli stimoli si cronicizza e provoca un abbassamento delle difese immunitarie, oltre a una maggiore probabilità di soffrire di disturbi dell’ansia e dell’umore.
Forse non tutti sanno che il passaggio da una prevalenza di suoni naturali a una prevalenza di suoni artificiali è stato, nel secolo scorso, un vero e proprio shock per milioni di persone. Infatti i soldati della prima guerra mondiale spesso erano contadini che provenivano da contesti rurali isolati, popolati soltanto da suoni naturali (unica eccezione: le campane delle chiese). Portati al fronte di guerra, questi soldati hanno conosciuto suoni artificiali mai ascoltati prima: il treno, gli automezzi, le bombe e i fucili. Lo stesso era accaduto, in maniera diversa, alle persone che vivevano nelle città durante la prima rivoluzione industriale, quando i rumori delle fabbriche iniziarono a “inquinare” i centri urbani. La grande quantità di “scemi di guerra” sui fronti della prima guerra mondiale era attribuito, dai medici di allora, all’esposizione ai suoni artificiali e potenti delle armi meccaniche. Probabilmente qualcosa di vero, in queste analisi, c’era. I mediologi ritengono che la nascita, negli anni ‘20, delle prime forme di musica elettronica sia un tentativo di esorcizzare la paura degli esseri umani nei confronti dei suoni artificiali, rendendoli un’occasione ludica e dunque meno minacciosa.
Oggi siamo abituati, se non agli scoppi improvvisi delle armi da fuoco, quantomeno allo stridore dei binari ferroviari, alle sirene delle ambulanze, ai rumori del traffico, al rombo degli aeroplani. Ma se noi ci siamo assuefatti, il nostro cervello profondo non lo è ancora.
Ovviamente, per godere delle comodità moderne, non possiamo esimerci da pagare l’inevitabile scotto in termini di stress. La tecnologizzazione crescente ha portato negli ultimi vent’anni, nelle nostre case, ulteriori suoni innaturali rispetto a quelli cui i nostri nonni si erano dovuti abituare: le suonerie dei cellulari sono l’esempio più tipico. Rinunciare al progresso sarebbe ormai impossibile per noi, ma se vogliamo fare una “coccola” al nostro cervello diviene sempre più importante concedersi qualche settimana all’anno dei periodi di ferie fuori città, magari rinunciando per l’occasione a utilizzare troppo spesso lo smartphone.
Anche se sembra un gioco di parole, possiamo dire che il nostro ambiente naturale è… la natura. Ecco perché le passeggiate nei boschi sono utilizzate sempre più spesso, negli ultimi anni, come attività coadiuvanti nelle terapie psicologiche in pazienti che soffrono di ansia e depressione. Vale la pena di cogliere il consiglio ed estendere queste attività a tutta la popolazione.