Tra le cose che accomunano noi ai nostri animali domestici, le abitudini hanno un posto d’onore: il nostro cane e il nostro gatto sono anzi molto più abitudinari di quanto noi potremmo mai esserlo. Dovremmo dedurre da ciò che le abitudini siano un fatto naturale? Certamente. Esse nascono per permettere al cervello di seguire dei “binari” predeterminati in modo da risparmiare energie preziose che si possono dirottare su compiti più utili. Ma se è naturale avere delle abitudini, quali siano non è scontato. Tant’è che ogni persona, ma anche ogni civiltà, ha le proprie, e nella maggior parte dei casi gli estranei le trovano stranissime.
Un esempio: oggi consideriamo normale lavarci i denti ogni giorno e fare la doccia ogni due o tre giorni, ma sappiamo che per quasi tutta la storia europea dopo la caduta dell’impero romano la gente si lavava al massimo due volte l’anno… abitudine peraltro opposta a quella delle civiltà precolombiane o dei giapponesi, che a un certo punto della storia videro sbarcare sulle loro coste spagnoli e portoghesi incredibilmente sporchi… nessuna abitudine è scontata e alcune seguono dei criteri logici, ma altre sono semplicemente mediate dalla civiltà in cui si vive. Non è un caso che ancora oggi le persone che si trasferiscono o viaggiano a lungo in Paesi lontani siano esposte al cosiddetto “shock culturale”.
Ma come funzionano le abitudini e come si instaurano? Il giornalista Charles Duhigg ha condotto negli anni una serie d’indagini sul tema e ha creato una propria teoria a proposito. Secondo lui, esiste un “ciclo dell’abitudine” composto da tre fasi: segnale, routine e ricompensa. Quest’ultima è fondamentale per garantire che un’abitudine prenda saldamente un posto nella nostra vita. La ricompensa dovrebbe essere il più possibile immediata, e lo dimostra il fatto che acquisire abitudini salutari (in cui le gratificazioni arrivano molto in là nel tempo) sia straordinariamente difficile. Al contrario, le abitudini che attivano subito la dopamina, ormone della ricompensa, sono difficili da perdere: pensiamo al fumo, ad esempio.
Su quanto tempo ci voglia affinché un comportamento si trasformi in abitudine gli studiosi hanno pareri differenti. Alcuni credono che ci vogliano 21 giorni di ripetizione assidua mentre altri, in tempi più recenti, hanno iniziato a parlare di 66 giorni (quindi più di due mesi).
La sfida principale degli esperti di marketing è trasformare un’esperienza d’uso di un prodotto in una vera e propria abitudine e per questo non smettono di studiare questo campo dell’esperienza umana. Sanno che le persone sono molto attaccate alle loro abitudini e che le cambiano solo se la loro vita viene in qualche modo stravolta. Ecco perché, ad esempio, le donne incinte sono le destinatarie ideali di qualsiasi tipo di pubblicità: la loro vita e le loro esigenze sono cambiate in modo così radicale e improvviso che si apre lo spazio per sostituire molte vecchie abitudini con altre nuove.