A tutti è capitato di vivere una situazione sgradevole o dolorosa ma tendenzialmente siamo portati a restare nella nostra zona di comfort: sappiamo che la conosciamo bene, mentre cambiare significa andare verso una strada che non conosciamo. E’ un po’ come un salto nel vuoto: sai cosa stai lasciando ma non sai cosa troverai. Così finisci per scegliere di rimanere dove sei, nella tua “coperta di Linus”.
Se ci fai caso, spesso chi non cambia, vive nelle sue “fantasticherie”, dice sempre frasi tipo “se avessi quello…se facessi quell’altro…se mi succedesse quella cosa…” e potrei continuare all’infinito. Ma non si può restare fermi, aspettando che qualcosa cambi da sé.
La prima cosa da fare, allora, è rendersi conto che ognuno di noi possiede tutti gli strumenti di cui hai bisogno per arrivare dove vuole. Deve solo imparare ad usarli. Una volta presa una posizione su qualcosa o qualcuno, tornare sui propri passi è quasi impossibile. D'altra parte, è anche vero che per orientarci nel mondo ci occorrono riferimenti chiari: le nostre opinioni sono la cornice entro la quale elaboriamo facilmente le informazioni, valutando gli altri e gli eventi con rapidità e senza sforzo. All'opposto, tener conto di punti di vista differenti significa tollerare un maggior margine di incertezza ed è dispendioso in termini di tempo ed energie.
Inoltre, quando le nostre opinioni si sedimentano finiscono per rappresentarci, diventando parte della nostra identità. Per mantenere inalterate le nostre posizioni ci serviamo del meccanismo cognitivo che lo psicologo inglese Peter Wason ha chiamato "pregiudizio di conferma": la tendenza a favorire le informazioni che convalidano le proprie idee, ignorando o sminuendo quelle che le smentiscono.
Innanzitutto, questo errore cognitivo induce a scegliere solo le informazioni che fanno "comodo". Si pensi a un medico che cerca sintomi e parametri che confermano la sua ipotesi diagnostica, ignorando quelli che potrebbero invalidarla, o a un ispettore di polizia che resta concentrato sulla raccolta di prove a favore della colpevolezza di un sospettato trascurando ciò che può scagionarlo o piste alternative.
Colpa del cervello che di fronte a un'opinione contraria si "spegne", impedendoci di considerarla. Ma come funziona questo meccanismo? La corteccia frontale mediale posteriore, che è implicata nei processi decisionali, diminuisce la sua attività quando incappiamo in un'opinione discordante dalla nostra, mentre l'aumenta se c'è accordo. I ricercatori della City University di Londra e dell'University College London, che hanno documentato questo processo con la risonanza magnetica funzionale, ritengono che ciò sia in relazione con il pregiudizio di conferma. In sostanza, è come se il cervello si rifiutasse di riconoscere la bontà delle opinioni altrui.
Possiamo dunque asserire che, qualunque sia il tipo di cambiamento, abbiamo un istinto irrefrenabile a resistere. Se poi il cambiamento viene imposto dall’esterno è ancora peggio, viene vissuto come una minaccia, quasi mai come un’opportunità.
In psicologia si dice che la resistenza al cambiamento è la manifestazione di come l’essere umano tenda a mantenere (e ritornare a) una condizione di stabilità interna: quando un input esterno provoca una modifica, subito il sistema si adopera per tornare al punto d’equilibrio originale.
Questo non vuol dire che il nostro punto di equilibrio sia soddisfacente e funzionale ai nostri scopi, tutt’altro: ci basta avere un punto a cui tornare, non importa quanto sia piacevole, anzi, spesso non lo è affatto, ma è l’unica stabilità che conosciamo e quindi tentiamo di mantenerla e di ripristinarla quando qualcosa la sconvolge.
Perciò quando decidiamo di cambiare, dobbiamo lottare non solo con il comportamento che vogliamo modificare, ma anche con l’intero sistema all’interno del quale quel comportamento svolge la sua funzione.
Ecco perché è così difficile cambiare, perché dobbiamo spendere tantissime energie per far sì che il nostro istinto non annulli il cambiamento che vogliamo imporre, non ci faccia rientrare subito nella nostra vecchia, tranquillizzante (e magari stantia), comfort zone.
Le barriere della zona di comfort sono molto ardue da rompere: superarle significa andare verso un ignoto in cui non possiamo sapere come andrà a finire. La sensazione di disagio per l’ignoto è il vero motivo per cui una persona preferisce accontentarsi di rimanere dov’è e rimandare (o evitare del tutto) il cambiamento necessario per diventare chi vuole diventare.
Dobbiamo sforzarci, e molto, affinché il cambiamento che vogliamo apportare, venga “digerito” all’interno del sistema fino a creare un nuovo punto di equilibrio interno, di cui farà parte integrante.
La capacità di cambiare è un’arte che dobbiamo sviluppare ma perché un cambiamento avvenga, dobbiamo avere una serie di condizioni che lo favoriscano e che lo rendano duraturo.
Prima di tutto il cambiamento deve essere sentito. Già è difficile cambiare, se non ne siamo convinti diventa impossibile. Perciò, innanzitutto, il cambiamento deve essere vissuto come qualcosa di positivo, come un’opportunità, come un qualcosa che, alla fine, ci farà stare meglio, anche se nel “durante” sarà stressante e faticoso. Questo è il punto principale e determinante per il successo: se siamo scettici, se non riusciamo ad immaginare come cambierà il nostro ruolo futuro o se temiamo di non avere le competenze necessarie, allora il cambiamento sarà solo di facciata.
Le nostre paure si sommeranno ai nostri istinti di mantenere lo status quo e il cambiamento non avrà luogo, o non durerà nel tempo. Andando avanti, ci accorgeremo di quanto sia gratificante superare la sfida che il cambiamento ci ha posto davanti, e saremo anche più consapevoli della nostra capacità di affrontare (e superare) le preoccupazioni che stanno alla base di ogni cambiamento, rendendo più semplice il passo successivo.
In secondo luogo, il cambiamento deve essere graduale. Se generiamo troppi scompensi velocemente, nella nostra organizzazione così come nel nostro modo di vivere, allora il sistema si adopererà per annullare il più possibile l’effetto del cambiamento e per ritornare quanto prima all’equilibrio iniziale. Per questo motivo dobbiamo introdurre il cambiamento con gradualità, per darci il tempo di digerirlo, apprezzarne i benefici.
In generale, è meglio suddividere il processo di cambiamento in diverse fasi: la prima è una fase di analisi, che ci serve per misurare i rischi del restare fermi e gli elementi di incertezza legati al cambiamento che vogliamo apportare: questo ci permetterà di interiorizzare meglio le motivazioni alla base del nostro voler cambiare e lo renderà quindi più efficace e duraturo. La seconda, è la fase di attuazione, dove dovremo tenere conto che spesso il modo di svolgere un lavoro è anche una forma di identificazione (personale e sociale) e quindi, per cambiare, dovremo darci il tempo (e darlo ai nostri collaboratori) per trovare una nuova forma di identificazione del proprio lavoro e dei propri rapporti lavorativi con gli altri. L’ultima fase è una fase di valutazione, in cui ci rendiamo consapevoli di cosa abbiamo cambiato e quali sono i rischi da affrontare per far sì che resti duraturo nel tempo. Infine, la gradualità ci permette anche di gestire al meglio i conflitti, le crisi e gli scoppi d’ira che fanno parte della normale routine di un processo di cambiamento.
Infine, il cambiamento deve essere guidato. Invece che farci intimorire proviamo a capire le motivazioni, a mettere in discussione lo status quo e immaginare un cambiamento che porti la nostra attività avanti, verso il futuro. Il più delle volte capita che sappiamo di dover cambiare, e lo vorremmo anche ma… c’è sempre un “ma” che ci blocca e ci fa rimandare.
Il cambiamento è più facile se viene guidato dall’esterno, da qualcuno di meno emotivamente coinvolto, che possa aiutarci a mettere in luce come superare i muri (mentali e non solo) che bloccano il processo, qualcuno che non si faccia influenzare dalla fatica che richiede, ma che punti lo sguardo direttamente all’obiettivo, al miglioramento a cui si può arrivare.Ci aiuterà leggendo in modo diverso la realtà attuale e i rischi che comporta, smontando quelle consuetudini che noi non mettiamo nemmeno più in discussione, e portando alla luce tutti i benefici che il cambiamento porterà.
In ogni caso sei avvisato: mettersi in discussione e cambiare non è mai facile ma, alla fine, dà enormi gratificazioni.