Chi non ha mai letto da piccolo i libri di avventure di Emilio Salgari, “papà” di Sandokan e del Corsaro Nero? Tutti conoscono questi personaggi, mentre pochi conoscono la vita e la personalità del loro autore.
Salgari, veronese di nascita, classe 1862, era famoso già alla sua epoca per una caratteristica molto particolare: scriveva romanzi pieni di avventure mirabolanti, ambientati in località esotiche, eppure non aveva mai viaggiato, nemmeno in Italia! Tutta la sua vita si è svolta tra il Veneto, dove è nato, e il Piemonte, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Altro che “tigre della Malesia”: i colleghi e i lettori a lui contemporanei lo chiamavano ironicamente “tigre della magnesia”… un vero e proprio antieroe della penna, in un’epoca in cui il pubblico ammirava la capacità degli scrittori di rendere la loro stessa vita simile a un capolavoro (pensiamo solo alla spericolata esistenza di D’Annunzio).
Eppure Salgari ci ha lasciato ben 89 romanzi, ambientati in tutti i continenti del mondo: dall’Oriente ai Caraibi, dai poli al Far West, fino all’Oceania e naturalmente, al mare aperto. Lo scrittore, che da giovane aveva frequentato l’accademia navale senza mai coronare il sogno di diventare capitano, per via dei cattivi voti si era dovuto rassegnare a una vita molto diversa da quella che immaginava da bambino.
Quest’anno, in occasione del 160º anniversario della nascita, esce finalmente per Odoya La vera storia di Emilio Salgari, una biografia pensata per mantenere la memoria della vita e della personalità del nostro “pirata pantofolaio”.
A parte un breve periodo di navigazione sulle mercantili mentre frequentava l’accademia navale (tre mesi passati a far la spola tra Venezia e Dubrovnik) e qualche momento di ardore giovanile (sfidò a duello con la sciabola un uomo che lo aveva offeso) la vita di Salgari fu contrassegnata dalla noia e dalla tristezza. Non vide mai un animale esotico, una tigre, neppure al circo; non sperimentò mai le battaglie, i tradimenti e gli intrighi dei quali i suoi libri sono pieni.
Convisse invece, dolorosamente, con il disagio psichico. Suo padre morì suicida ed Emilio seguì presto la stessa strada. Tentò di togliersi la vita per la prima volta nel 1909, ma venne salvato dalla figlia; il secondo tentativo, nel 1911, sarà quello definitivo. Anche la moglie, amatissima, era contraddistinta da un profondo disagio: ex attrice di teatro, venne internata in manicomio all’età di 42 anni, lasciando soli Emilio e i quattro figli.
Una vita ai limiti dell’intollerabile, il cui unico sollievo era la letteratura: Salgari leggeva e rileggeva i romanzi di Verne e di Dumas padre (si vede) e si documentava su usi, costumi e paesaggi delle terre più lontane. Il suo lavoro di documentazione, la base da cui nascevano tutti i romanzi, era talmente preciso che leggendoli sembra di vedere le terre d’Oriente come in una cartolina. Solo che di cartoline, all’epoca, non ce n’erano molte. Lo studio e la fantasia, combinati, grazie alla passione di Salgari diventavano realtà.
Nell’Italia dei primi anni dopo l’Unità, la professione di scrittore era molto apprezzata, ma non altrettanto ben retribuita: ancora non si erano fatte degne conquiste sul piano dei diritti d’autore e per questo Salgari era costretto a scrivere di continuo accettando paghe da fame. Molti si arricchirono grazie alle sue opere, lasciandogli soltanto le briciole. Per sostenere i ritmi serrati che lo inchiodavano alla scrivania per ore e ore non poteva che fumare (un centinaio di sigarette al dì) e bere litri di vino. Certamente il superlavoro cui era costretto aggravò le sue tendenze depressive, fino a culminare nel finale che conosciamo.
È vero, avremmo preferito non sapere com’era la vera vita dello scrittore che ha fatto sognare tante generazioni di piccoli e grandi lettori. Ma divulgare la sua storia serve a ricordarci tante cose importanti. Prima di tutto, che la fantasia è la potenza più grande al mondo; secondo, che il talento dovrebbe essere sempre riconosciuto e ricompensato. Già da diversi anni in Italia, con leggi come la Bacchelli, ci si sta adoperando per dare ai geni del nostro tempo una vita degna, salvandoli dalla povertà. Dovremmo fare ancora di più in questo senso, sostenendo moralmente e materialmente il lavoro degli artisti a noi vicini.