Anche se negli ultimi anni si sono fatti sempre più strada gli ideali dell’inclusione e della normalizzazione dei corpi, ancor oggi la parola “grasso” ha una connotazione apertamente negativa per la maggior parte delle persone. Plasmati da decenni di martellamento pubblicitario sul genere “magro è bello” e schiacciati da una società ipercompetitiva tutti noi, che siamo magri, grassi o normopeso, abbiamo un bias cognitivo che ci porta a pensare all’esilità come a una condizione preferibile rispetto all’abbondanza delle forme. Anche se ci giustifichiamo, ripetendo a noi stessi di preferire la magrezza perché più salutare, in realtà pecchiamo continuamente di grassofobia.
Abbiamo usato volutamente la parola “grasso” al posto delle sue varianti attenuate come “pienotto”, “abbondante”, “curvy” o il più scientifico termine “sovrappeso” perché è proprio la sfumatura negativa che diamo alla parola il perno della questione. “Magro”, il termine contrario, non ha alcuna sfumatura negativa; nessuno si offenderebbe sentendosi definire tale. Questa riflessione sulle parole ci fa capire quanto profondo sia il bias dentro di noi.
Essere sovrappeso espone a moltissimi fastidi, diciamoci la verità. Questi iniziano generalmente nell’infanzia, tra i genitori che esprimono disapprovazione per una certa forma del corpo sognando un figlio o una figlia diversi, più “belli” e i compagni di scuola più o meno bulli. Nell’età adulta si può subire la tirannia dei social, dove spesso ricevono commenti assai irrispettosi sul peso, oltre alla vergogna di non trovare vestiti carini e dalle forme adatte alle curve del corpo. C’è sempre chi è pronto a elargire consigli non richiesti su come recuperare un “peso forma” che sembra abbia poco a che fare con lo stato di salute effettivo.
Il peso diventa, sia per i grassi che per i magri, molto più di un numero: è parte dell’identità. Così la persona grassa finisce facilmente per identificarsi con la sua taglia e con i significati a essa attribuiti: il grasso è “perdente”, “pigro”, “depresso”, “fallito”, “brutto”. Ciò non ha alcun senso.
È necessario uscire da questo loop soffocante, prima di tutto guardandosi intorno: anche le persone magre possono sentirsi inadeguate, indegne d’amore, fallite, depresse. Gli stati d’animo legati all’inadeguatezza non hanno necessariamente a che fare con la forma e il peso del corpo e dimagrire non è garanzia di successo né di felicità. Accorgersi di questo significa realizzare che stiamo dando semplicemente troppa importanza a fattori che non ne hanno. Tutti possono essere realizzati professionalmente e sentimentalmente, o possono non esserlo, a prescindere dalla taglia che indossano.
Coltivare la gentilezza verso noi stessi e anche verso chi è diverso da noi è la soluzione. Non dobbiamo cadere nel tranello di pensare che ciò che va bene per una persona vada bene per tutte le altre. Teniamo per noi i consigli non richiesti, con la consapevolezza che con le nostre parole potremmo ferire i sentimenti di chi amiamo. Diventiamo consapevoli che, qualsiasi sia la forma del nostro corpo o di quello altrui, tutti meritano amore e tutti hanno una propria bellezza, unica e particolare!