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    L’impatto della “cultura della principessa” sulla concezione soggettiva di amore e romanticismo
    Alcuni studi recenti hanno cercato di capire se e quanto le donne di oggi siano ancora condizionate, nella loro idea di amore, dalle favole e dai cartoni Disney che sono stati loro proposti nell’infanzia.

    La "cultura della principessa" si riferisce a una serie di stereotipi culturali che rappresentano le donne come principesse bisognose di essere salvate e protette da un uomo, e che promuovono l'idea che l'amore e il romanticismo siano legati a comportamenti e attitudini tradizionalmente femminili come la bellezza, la dolcezza e la sottomissione. Questa cultura può avere un impatto negativo sulla concezione soggettiva di amore e romanticismo, poiché può portare le donne a credere che per essere considerate desiderabili o degne di amore debbano conformarsi a questi stereotipi e che l'amore sia legato alla loro capacità di soddisfare gli standard di bellezza e di comportamento imposti dalla società. 

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    Negli ultimi anni diversi studi hanno cercato di capire se e quanto le ragazze cresciute con le favole e con l’esempio delle principesse Disney abbiano incamerato questi condizionamenti indiretti e li abbiano trasportati nelle loro vite. I cartoni animati realizzati fino a qualche decennio fa, quelli che ancora oggi vengono proposti alle bambine accanto a quelli più moderni, esprimono invariabilmente l’idea che la felicità possa essere trovata all’interno di una relazione d’amore favolesca, nella quale la donna in difficoltà viene salvata dall’uomo forte e buono. È emerso che effettivamente la “cultura della principessa”, la quale propone una visione di amore idealizzato e caratterizzato da una forte dipendenza femminile, fa parte della vita delle giovani donne e confligge continuamente con un’idea di amore più razionale e radicata nel presente. 

    La "cultura della principessa" può contribuire a perpetuare gli stereotipi di genere e a rafforzare le aspettative di ruolo e comportamento tradizionali per uomini e donne, limitando la libertà di espressione e di scelta di ciascun individuo, maschio o femmina che sia. Anche se i maschi sono teoricamente meno esposti (non si parla più di tanto di “cultura del principe”) finiscono per essere comunque assorbiti in questo tipo di cultura. È quindi necessario per gli educatori affiancare alle favole tradizionali anche altri tipi di esempi e di stimoli. Di questo si sta occupando l’industria creativa più recente, con la produzione di libri e cartoni che propongano anche immagini di ragazze forti e autonome accanto a quelle delle tradizionali principesse da salvare. 

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    È importante notare che l'amore e il romanticismo sono concezioni personali e possono essere interpretate in modo diverso da ogni individuo. Non c'è un modo "giusto" o "sbagliato" di essere romantico o di dimostrare il proprio amore, e non ci sono standard universali che devono essere soddisfatti per essere degni di affetto o per avere una relazione soddisfacente. Combattere la “cultura della principessa” non significa negare i propri sogni e le proprie speranze ma sottoporle a un bagno di realtà, tenendo bene a mente che un amore pieno e soddisfacente non è praticamente mai un amore perfetto.

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     Commenti (1)
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    1. sottileconfine, Roma (Lazio)
      La domanda è una soltanto: dove si annida l'origine primordiale della cultura della principessa o del principe? La risposta è una e una soltanto: nella natura biologica e identitaria dei generi sessuali. La cultura, antropologicamente intesa, non fa altro che assecondare la natura e talvolta, ribellandosi a quest'ultima, genera "mostri" senza più alcuna identità. "Va dove ti porta il cuore" recitava il titolo di un fortunato libro; un cuore umano e naturale e non quello creato nei laboratori mediatici e dei social network.
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