Negli ultimi anni diversi studi hanno intrecciato le scienze politiche alla psicologia, nel tentativo di capire perché scegliamo di schierarci dall’una o dall’altra parte politica e perché, in accordo o disaccordo con le nostre idee di base, finiamo per dare il nostro voto a qualcuno. Alcuni studiosi si sono concentrati sui fattori caratteriali degli elettori, altri sulle emozioni legate al comportamento politico, in particolare quella del disgusto.
Il disgusto è considerato dagli psicologi un’emozione “di base”, semplice e universale e che ha effetti molto chiari a livello di azione: genera evitamento. Pensiamo di trovarci davanti a un piatto pieno di un cibo che ci disgusta, perfino nell’odore; qualsiasi sia il nostro carattere respingeremo il piatto, o ci alzeremo e ce ne andremo.
Gli studiosi hanno confermato che una maggiore propensione al disgusto è legata a idee politiche conservatrici. Questa emozione, infatti, si collega a una inconscia visione del mondo come minaccia. Chi prova disgusto più facilmente prova, con altrettanta frequenza, un senso di timore nei confronti della realtà e dei suoi cambiamenti e tende a prediligere un sistema politico statico, protettivo, improntato al controllo.
Gli psicologi pensano che le idee politiche conservatrici siano utilizzate dalle persone come un modo per gestire, dentro di loro, la percezione della minaccia. Questo perché, come dicevamo, chi è conservatore vede il mondo come più disgustoso e pericoloso rispetto a chi è progressista.
Il disgusto, in politica, si connette fortemente alle questioni legate all’identità e all’integrità di essa; le minacce più comuni a tale integrità si identificano negli stranieri, nelle persone non etero o non binarie, nei medicinali o nei vaccini, nelle droghe, nella possibilità di abortire. Chi è “allenato” a provare disgusto e di conseguenza è conservatore espliciterà tale tendenza con un atteggiamento nazionalista, anti-immigrazione, anti-senzatetto, eteronormativo, ecc.
C’è un altro modo in cui la politica occidentale è mediata dal disgusto e cioè attraverso la persuasione, la pubblicità. La comunicazione politica infatti utilizza da millenni toni e temi in grado di suscitare disgusto, un’emozione in grado di plasmare facilmente l’opinione pubblica e mettendola nelle condizioni di rifiutare le proposte degli avversari. Ci sono casi in cui l’intento di suscitare disgusto si rivela però un boomerang. Nelle elezioni politiche canadesi del ’93, un candidato puntò la propria campagna elettorale sulla denigrazione dell’avversario, che aveva un volto deforme. Calcò talmente tanto la mano su questo tasto che l’opinione pubblica, anziché provare disgusto per l’avversario “brutto”, provò disgusto proprio per l’accusatore, percepito come immorale e offensivo.
Chiariamo che questi studi, principalmente quelli che collegano il disgusto alle idee conservatrici, sono stati condotti con rigore scientifico e non mirano assolutamente a dare giudizi morali sulla destra o sulla sinistra. Gli atteggiamenti conservatori sono tradizionalmente tipici della destra, ma non sono un’esclusiva di questa parte politica e non sono comunque definibili in assoluto come buoni o cattivi. Quello che è interessante è valutare come le idee conservatrici siano maggiormente legate, rispetto a quelle liberal, a una percezione della realtà come “disgustosa”.