La musica è parte integrante della nostra vita. Compone i nostri ricordi e fa da colonna sonora a eventi per noi importanti come feste di compleanno, matrimoni, il primo bacio. Essa ha un effetto ancor maggiore di quello che potremmo immaginare: dà sollievo allo stress e alla depressione, ci aiuta a legare con gli altri e aumenta il nostro quoziente di intelligenza.
Il nostro corpo contiene un proprio “farmaco naturale” che ci aiuta a reagire a situazioni diverse: ci calma quando abbiamo bisogno di dormire e ci mette in allerta se c’è un pericolo. Se il nostro apparato farmacologico funziona bene, ci vengono fornite le sostanze giuste al momento giusto. Per esempio, se ci aggredisce un cane, il nostro farmacista interno ci fornisce una dose di adrenalina e una di cortisolo. L’adrenalina ci prepara a scappare o a reagire, incrementando l’afflusso di ossigeno ai muscoli, portando più sangue verso il cuore e i polmoni e rilasciando glucosio aggiuntivo nel sistema. La reazione del cortisolo amplifica ulteriormente gli effetti dell’adrenalina, aumentando i livelli di zucchero nel sangue e concentrando le riserve di energia verso le braccia e le gambe.
Questi effetti sono utili durante brevi eventi del tipo “combatti o fuggi”, ma possono essere nocivi sul lungo termine. Se conduciamo una vita piena di impegni e stress, possiamo ritrovarci depressi o spossati perché il nostro “farmacista” interiore ci somministra di continuo adrenalina e cortisolo, anche in situazioni non “di vita o morte”. Ed è qui che può essere d'aiuto la musica. è appurato, infatti, che ascoltare una melodia rilassante diminuisca i livelli di adrenalina e cortisolo nel sangue, riducendo lo stress e l’insonnia. In uno studio effettuato su giovani adulti che avevano dichiarato difficoltà a prender sonno, più dell'80 per cento di loro ha riscontrato miglioramenti dopo tre settimane in cui, al momento di coricarsi, ascoltavano musica classica.
In che modo la musica influenza le emozioni? Il mondo del cinema offre molti esempi. Se l'azione sullo schermo è emotivamente neutra (una donna che cammina per strada), la colonna sonora ci può suggerire che sta per accadere qualcosa di terrificante o di positivo. Se il regista vuole farci sussultare dalla paura, un rumore (o una melodia) forte e improvviso funzionano benissimo per attivare la reazione “combatti o fuggi’’, che inonda il nostro sistema di adrenalina e cortisolo. Il nostro cervello ipotizza inconsciamente che ci troviamo in pericolo, perché ci siamo evoluti in modo da associare un suono inatteso (e quindi anche una melodia) con una possibile minaccia. Per questo la scena della doccia di Psycho, con i suoi violini stridenti, è così terrificante. Ma il compito del compositore della musica di un film è di manipolare le nostre emozioni senza che la musica risulti troppo invadente. Un modo efficace per amplificare l'impatto emotivo di un evento visivo è di far precedere il culmine di una scena dalla colonna sonora adatta. Se un padre sta cercando la figlia, ci sentiamo molto più sollevati al momento in cui viene trovata sana e salva se la scena della ricerca era accompagnata da una musica sinistra e minacciosa. Similmente, inorridiremo molto di più se, dopo una ricerca accompagnata da una composizione allegra, ci ritroviamo di fronte un corpo insanguinato e un forte accordo angoscioso.
La musica, inaspettatamente, è anche un potente antidolorifico. Uno degli esperimenti effettuati per individuare la resistenza al dolore (che consisteva nel chiedere ai soggetti di tenere le mani in acqua gelida il più a lungo possibile) ha evidenziato che ascoltare musica aiuta a sopportare il dolore più a lungo. Oltre a funzionare da “analgesico” pare che favorisca anche la concentrazione: ciò interessa potenzialmente tutti, dai dirigenti agli studenti che preparano un esame. Quando cerchiamo di finire un resoconto in un bar rumoroso, la musica ascoltata in cuffia aiuta a concentrarci, ma se lavoriamo in un ambiente silenzioso, potrà essere una fonte di distrazione. Parte delle nostre capacità cerebrali saranno dedicate all’elaborazione della musica, lasciandone di meno per il compito che stiamo cercando di fare, e la musica vocale può distrarre particolarmente. La situazione è un po' diversa se svolgiamo una mansione semplice, come lavare o stirare. In questo caso ci rimane capacità mentale in abbondanza, e la musica ci aiuta a rimanere di buon umore e a non annoiarci, probabilmente tanto da migliorare le prestazioni in quello che stiamo facendo.
La musica ha davvero un effetto così forte sulle nostre azioni? Pare proprio di sì. Pensiamo per esempio alla musica “ambient” che viene spesso diffusa in negozi e ristoranti: può avere un'influenza sorprendente sul nostro comportamento. Già negli anni Ottanta Ronald Milliman, docente statunitense di marketing, scoprì che in un ristorante una musica lenta e rilassante ci spinge a mangiare più lentamente, aumentando quello che spendiamo in bevande nel corso del pasto. Il ritmo della musica ha anche un effetto sulla velocità a cui camminiamo in un negozio o in un supermercato: tendiamo a guardarci in giro e ad acquistare di più se essa è tranquillizzante e rilassata.
Oltre a ciò la musica contribuisce a rinsaldare un gruppo sociale. Sin dalla Preistoria i gruppi di ominidi intonavano canti insieme e si proteggevano a vicenda, con più tenacia, contro predatori o nemici. Si è riscontrato che la musica incoraggi la secrezione dell’ossiticina, l’ormone che viene rilasciato anche durante l'allattamento al seno e i rapporti sessuali, e dunque può avere un potentissimo effetto nel creare legami.
Non solo, già nel 1993 la psicologa statunitense Frances Rauscher, insieme ad alcuni colleghi, pubblicò un articolo che mise in luce il cosiddetto “effetto Mozart”, mettendo in evidenza che il suo ascolto aumentasse il Q.I.
Vari studi successivi hanno dimostrato, infatti, che il punteggio ottenuto in un test di intelligenza si può migliorare semplicemente ascoltando qualsiasi musica troviamo godibile (Schubert e i Blur funzionano quanto Mozart).
Ascoltare musica può assolvere a diverse funzioni e il suo contributo varia da persona a persona, dal grado di coinvolgimento che riusciamo a stabilire con ciò che ascoltiamo, dalla nostra sensibilità, dalle nostre aspettative e dalle necessità che, più o meno inconsciamente, cerchiamo di soddisfare attraverso l’ascolto.
Se è facile immaginare le motivazioni che spingono a provare piacere nell’ascolto di musica allegra, più difficile è spigarsi perché si decide di ascoltare musica triste. Si potrebbe pensare che quando siamo tristi dovremmo voler ascoltare canzoni felici e invece questo non succede quasi mai. Perché? Vogliamo crogiolarci nella nostra infelicità? Più semplicemente, ascoltare una canzone triste può valere come supporto, l’effetto empatico che si crea con l’ascolto ci fa sentire capiti, ci dà la sensazione di poter condividere quello che ci fa soffrire con qualcuno che ha provato lo stesso dolore. L’ascolto favorisce l’introspezione e ci offre una prospettiva alternativa ad un problema contingente. Un messaggio che arriva attraverso la musica risulta rassicurante e questo favorisce l’insorgere di un sentimento empatico. I brani malinconici non suscitano solo tristezza ma anche emozioni che contrastano un effetto deprimente. La tristezza che ci arriva dall’Arte, in tutte le sue forme, a differenza di quella che può insorgere nella vita quotidiana, non è avvertita come una reale minaccia e viene quindi vissuta in modo molto diverso.
Infine, un’ultima riflessione sulla diversa fruizione della musica tra profani e professionisti. Un profano che ascolta musica è appagato dallo stabilire con i suoni che ascolta un’empatia che gli procura coinvolgimento emotivo, in modo rilassato ed immediato. Caratteristiche che vengono meno nell’ascolto di un professionista che, di fronte alla stessa musica, sarà portato ad esaminarne la struttura, le componenti vocali e strumentali, il modo in cui viene eseguita. In questo caso il piacere dell’ascolto arriverà, più che dalla componente emotiva, da una componente tecnica, non più una fruizione passiva ma la valutazione delle competenze di chi ha eseguito il pezzo e la possibilità di riuscire a riprodurlo lui stesso.
Che si tratti di un profano o di un professionista è innegabile che la musica sortisca effetti catartici, su tutti. Anche i neonati di appena cinque mesi rispondono ritmicamente alla musica e sembrano trovarla più interessante del linguaggio. Forse la propensione alla musica è davvero nei nostri geni!