La metafora della “gatta morta” è molto popolare e utilizzata in tutta la penisola italiana. L’espressione sta a indicare una persona che appare tranquilla e inoffensiva, mentre invece nasconde interessi personali e una mente calcolatrice. In particolare con questa locuzione ci si riferisce alle donne che seducono gli uomini mostrando un atteggiamento volutamente e fintamente docile, sottomesso, fragile.
L’espressione potrebbe somigliare a un’altra, molto famosa, la cosiddetta “acqua cheta”, che sta a indicare appunto una persona più pericolosa di quel che appare. Delle due espressioni, però, “gatta morta” è sicuramente più negativa e infamante perché ha a che fare con la seduzione e con il cinico calcolo della propria opportunità. Una “gatta”, insomma, non appare semplicemente più tranquilla di quel che è, ma assume un’aria remissiva di proposito per raggirare il prossimo.
Ma perché si dice “gatta morta”? Quali sono il significato e l’origine di questa metafora? Per scoprirlo dobbiamo andare molto indietro nel tempo, fino al sesto secolo Avanti Cristo, quando Esopo scriveva e pubblicava le sue famose Favole.
In una di queste storie, intitolata “Il gatto e i topi”, si racconta di un felino che per attirare le sue prede si finge morto, inducendole ad avvicinarsi senza timore. Fortunatamente nella storia i topi non si lasciano ingannare e non si avvicinano al gatto, conservando la vita. Ciò non accade, purtroppo, con tutti gli umani…
Pensiamo che l’espressione “gatta morta”, senza voler ricondurre ogni cosa allo strapotere del patriarcato come molti movimenti femministi fanno, sia un’espressione figlia di un’atavica paura per i comportamenti delle donne. L’espressione viene utilizzata infatti soprattutto nel campo erotico e sembra voler avvertire gli uomini sulla pericolosità delle femmine, evocando lo spettro della “cattura”, della trappola, lo stesso concetto che si ritrova nell’antica immagine della “vagina dentata”. Leggende di tutto il mondo, dal Nord America all’Asia del Sud, narrano storie di donne che inducono gli uomini ad accoppiarsi con loro per poi danneggiarli o evirarli tramite dispositivi acuminati (“denti”) inseriti nella vulva. Questa immagine ha ispirato molte riflessioni nel padre della psicologia, Sigmund Freud.
Ma quelle sulla vagina dentata non sono le uniche leggende sulla pericolosità femminile: pensiamo solo a come Eva ingannò Adamo e lo indusse a perdersi per sempre! Così le “gatte morte” moderne ingannano gli uomini per approfittarsi di loro e perciò fanno paura.
Non dovrebbe essere necessario puntualizzare che le donne non possiedono un fantomatico “gene dell’inganno”, non più di quanto questo immaginario aspetto del DNA possa essere presente nei maschi. Oggi, rispetto ai tempi antichi quando le donne non potevano lavorare, è caduta per loro la necessità di inventare astuzie per farsi proteggere e mantenere. Perciò possiamo stare certi che se un tempo molte più donne erano costrette a fare le “gatte morte” per sopravvivere e magari per garantire il pane ai loro figli, oggi non è più così.
Ciononostante la “gatta morta” resta una colorita espressione che descrive in modo chiaro l’atteggiamento di tante persone che tentano di manipolare gli altri denunciando però, col tempo, la loro incapacità di coprire le vere intenzioni.