Il saluto romano, così definito perché in passato si pensava derivasse da una tradizione dell'antica Roma, è una forma di saluto utilizzata in varie parti del mondo, nel periodo a cavallo tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, che prevede il braccio destro alzato di circa 135 gradi rispetto all'asse verticale del corpo, con il palmo della mano rivolta verso il basso e le dita unite.
Ad esso si attribuiscono diversi significati, tra cui quello augurale, con il quale si voleva trasmettere un influsso benefico dal salutante al salutato (la stessa etimologia di "saluto" deriva da salutem iuvare, ossia augurare buona salute), ma era inteso anche come un gesto di pace per il fatto che si mostra il palmo della mano maestra vuoto.
A quest'ultimo caso si potrebbe obiettare che nell'antica Roma la mano aperta simboleggiasse il gladio sguainato, e quindi un segno offensivo, tipico della gestualità degli eventi di gladiatura.
Ma davvero i Romani salutavano col braccio teso e alzato?
Quello che oggi chiamiamo "saluto romano" pare abbia un'origine diversa da quella che si immagina. L'equivoco nasce in epoca moderna, a partire dal successo del dipinto di Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi (1784), esposto al Louvre di Parigi, dove sono rappresentati tre fratelli romani, gli Orazi, che con un braccio teso prestano un giuramento col padre.
Come si salutavano i romani? Abbastanza similmente a noi: i militari si portavano la mano destra all'altezza dell'elmo mentre amici e familiari ricorrevano ad abbracci e baci; gli sposi, all'atto del matrimonio, si stringevano solennemente la mano destra.
L’antica Roma ha fortemente influenzato l’immaginario collettivo, soprattutto durante i venti anni di regime fascista. Anche la cinematografia, soprattutto grazie ai peplum degli anni Cinquanta e Sessanta (film in costume ambientati in una fantasiosa antichità), ha veicolato l’idea che gli antichi romani salutassero stendendo il braccio destro davanti alle autorità.
In realtà, come ci ricorda lo storico Raffaele D’Amato, tra le legioni c’era in vigore la salutatio militaris, un saluto militare analogo a quello militare moderno, ritenuto generalmente un’invenzione medioevale.
Il gesto di alzare il braccio destro nella cultura romana aveva in realtà una funzione e un significato diverso. La mano destra alzata era usata simbolicamente per rendere onore o esprimere fedeltà, amicizia e lealtà. Cicerone, per esempio, riporta che Ottaviano, il futuro Augusto primo imperatore, fece un giuramento a Giulio Cesare elevando e tendendo il braccio destro.
In alcune testimonianze di arte romana possiamo notare che i soldati, per salutarsi, a volte alzano la mano aperta, come faremmo noi nel salutare un caro amico o un conoscente per strada, ma senza braccio teso. Altre volte è l’imperatore ad alzare leggermente il braccio, ma, come precisano gli storici Andrea Giardina e André Vauchez, siamo di fronte a un gesto che accompagna un augurio, un buon auspicio o un discorso rivolto ai legionari, con il palmo della mano verticale e le dita aperte.
Nella Colonna Traiana, innalzata dall’omonimo imperatore fra il 101 e il 106 d.C. dopo la conquista della Dacia, l’odierna Romania, l’imperatore Traiano a cavallo è salutato da alcuni barbari con le braccia stese o piegate in segno di sottomissione. Nei fregi 122-123 l’imperatore a cavallo è salutato da alcuni soldati, ma nessuno di loro ha il braccio destro teso. Un ufficiale davanti a Traiano ha il braccio aderente al corpo con solo l’avambraccio sollevato e indicando con l’indice della mano. Dietro a lui, due mani sono sollevate con le dita visibilmente aperte come quando ci si saluta ancora oggi.
Se analizziamo le monete romane constatiamo l’esistenza di molte scene di arringa, acclamazione, arrivo e partenza, dove il braccio alzato può esprimere benedizione, saluto o potere, e il più delle volte non è ricambiato. Pensiamo all’Augusto di Prima Porta, raffigurato come un generale vittorioso che si rivolge alla folla, in cui si può vedere il braccio leggermente piegato in un movimento nobile e controllato e il corpo bilanciato da una torsione contrapposta delle gambe divaricate e flesse, secondo i canoni derivati dalla Grecia classica.
Il saluto romano viene reso popolare soprattutto dal cinema del primo Novecento, che reinventa gesti e costumi degli antichi romani, prendendo spunto dal repertorio di convenzioni già fissato dal teatro.
Il film “Cabiria” di Giovanni Pastrone (1914), il più grande kolossal del cinema muto che ebbe successo in tutto il mondo (vanta il poeta Gabriele D’Annunzio come autore delle didascalie), consacra il saluto col braccio teso come simbolo della romanità. Nel dopoguerra, Hollywood interiorizza tale simbologia nei kolossal storici di intonazione cristiana, come “Quo Vadis” di Mervyn LeRoy (1951) e “Ben-Hur” di William Wyler (1959).
Con il “saluto romano” siamo quindi di fronte a una gestualità che, senza vere basi storiche, negli ultimi due secoli si è affermata lentamente nell’arte, nel teatro, nel cinema e, infine, nella politica dell’estrema destra.
Nell’età contemporanea venne usato per la prima volta in Italia dai legionari fiumani di Gabriele D’Annunzio, nel presentare il pugnale sguainato. Esso si salda con la tradizione classica per la volontà fascista di rappresentare una continuità con Roma antica. Tra curiosità emerse nell'ultimo decennio vi è la riscoperta di Rex Curry, un ricercatore statunitense, che ha ricordato come un saluto codificato nello stesso modo fosse in uso negli Stati Uniti d’America per il saluto alla bandiera (Pledge of Allegiance), creato da Francis Bellamy nel 1892 e adottato nelle scuole degli Stati Uniti fin verso gli anni 1930.
A causa della somiglianza tra il saluto di Bellamy e il saluto nazista, il Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, istituì al suo posto il gesto della mano sul cuore come saluto alla bandiera durante l'esecuzione dell'Inno nazionale (The Star-Spangled Banner). Ciò avvenne quando il Congresso americano adottò ufficialmente il Codice per la Bandiera (United States Flag Code), il 22 giugno 1942.
Nell’Italia fascista, Achille Starace, segretario del PNF, promosse una campagna a favore del saluto romano, affinché sostituisse completamente la stretta di mano ritenuta "borghese" e poco igienica. Nonostante quest'ultimo argomento potesse essere abbastanza convincente, la campagna non riuscì nel suo intento, e perfino i personaggi più in vista del regime fascista continuarono a salutare con strette di mano dopo aver porto il saluto romano di rito.
Con il nazismo, in Germania, anche l’NSDAP adottò questo tipo di saluto ripreso, negli anni trenta e quaranta, anche da altri Paesi governati da regimi analoghi: si pensi, ad esempio, alla Spagna franchista o alla Grecia durante la dittatura di Metaxas.
Oggi, in Italia, il saluto romano, se eseguito con l’intento di compiere manifestazioni di carattere fascista, è vietato dalla legge n. 645 del 20 giugno 1952 ("Legge Scelba"), successivamente modificata con la Legge n. 205 del 25 giugno 1993 ("Legge Mancino"), e può essere punito con la reclusione che va da sei mesi a due anni e una multa da 200 a 500 euro. Tuttavia, una sentenza della Corte di Cassazione del febbraio 2018, ha sancito che esso non costituisce reato se compiuto come «atto commemorativo».