L’invidia non è solo uno dei sette peccati capitali ma è stata anche descritta, in un saggio di Elena Pulcini, come “la passione triste”. Da dove viene questa definizione? Per comprenderla, ripassiamo per un momento quali sono i sette peccati, o vizi capitali per la dottrina cattolica:
Insieme all’accidia, l’invidia è tra i pochi “vizi” che non solo fa soffrire gli altri, ma anche chi prova questo tipo di sentimento. Ad esempio, l’iroso può prendere a pugni una persona che gli ha dato fastidio e non sentirsi in colpa; il superbo può pensare di essere il migliore di tutti e non soffre, almeno fino a che non è smentito; per non parlare del goloso e del lussurioso. L’invidioso invece soffre molto quando vede qualcun altro raggiungere un risultato che lui stesso ambirebbe e gode, ma comunque con un contorno di mestizia, solo quando vede il “rivale” fallire.
L’invidia quindi, secondo tutti e in particolare secondo la Chiesa, è proprio una brutta cosa. Ma può celare un lato positivo? Gli scienziati se lo sono chiesti e hanno stabilito che sì, l’invidia può avere una funzione evolutiva.
Secondo i ricercatori della Texas Christian University di Fort Worth e dell'Università di Austin (Usa), che hanno lavorato insieme a uno studio sull’invidia, questo sentimento potrebbe essere utile per rafforzare la memoria episodica e anche la capacità di elaborare soluzioni (immaginazione).
Invidia è una parola che deriva dal latino invidere, ossia “guardare male” e le ricerche fatte dagli scienziati americani hanno dimostrato che è vero. I partecipanti coinvolti negli studi hanno dimostrato di ricordare molto meglio dati personali, particolari, nomi e facce di persone che erano state presentate loro come particolarmente invidiabili, perché ricche o di successo. In effetti, il meccanismo dell’invidia consiste in un continuo paragonare sé agli altri, nella speranza ovviamente di risultare migliori.
Quindi piccole dosi d’invidia, sentimento che peraltro è del tutto naturale, aiuterebbero ciascuno di noi a immagazzinare meglio le informazioni che vengono dal mondo circostante. Guardare qualcosa che ci interessa personalmente (anche spinti dall’invidia, ossia da un nascosto desiderio di primeggiare) è un gesto più potente che guardare qualcosa dotato di poco significato per noi.
Questo processo continuo di immagazzinamento delle informazioni avrebbe anche il risultato positivo di renderci più intelligenti, più capaci non solo di fare paragoni ma anche di immaginare soluzioni. Come arrivare a superare la persona oggetto della nostra invidia? Quali passi compiere? Ecco che la “passione triste” può trasformarsi paradossalmente in una spinta a fare meglio.
L’estrema attenzione che tributiamo alle persone invidiate ci spinge a studiare i passi che hanno compiuto e a emularli o trascenderli per compiere passi analoghi nella nostra vita.
Quando l’invidia è una passione sterile può portare a scivolare nell’accidia (il nome che gli antichi davano, sostanzialmente, alla depressione) mentre quando l’invidia è accompagnata da una forte voglia di rivalsa e da una volontà incrollabile può dimostrarsi paradossalmente un mezzo di automiglioramento.
Ovviamente l’invidia in sé non è mai positiva. Già gli antichi descrivevano in diverso modo il desiderio sano di emulare i grandi dal sentimento capriccioso dell’invidiarli semplicemente. Eppure spesso anche nei grandi gesti e nelle grandi imprese una componente di invidia permane e dobbiamo accettarlo.