L'ingresso nell’adolescenza di un figlio spesso crea difficoltà nei genitori: il bambino dolce e timido di ieri si è trasformato velocemente in un ragazzino diverso, a volte scontroso e incomprensibile. Questa fase della crescita porta inevitabilmente con sé conflitti, relazioni faticose e discussioni per la conquista di 'nuovi diritti' e di una maggiore autonomia. In effetti, la pubertà segna l’inizio di un periodo molto delicato, sia per i ragazzi, sia per gli adulti che stanno loro intorno, ma è anche una fase della vita straordinaria, caratterizzata da un potenziale che non avrà più uguali nel corso della vita e durante la quale gli ex-bambini “fioriscono” e si avviano verso l'età adulta.
Per comprendere e affrontare l’adolescenza, Daniel Siegel, psichiatra a capo del Mindsight Institute della University of California, sostiene che bisogna smentire tre falsi miti. Il primo riguarda la convinzione che se i ragazzi si comportano in modo “folle” è esclusivamente colpa degli ormoni. Il secondo vede l’adolescenza come un periodo di immaturità, quindi bisogna solo aspettare che passi. Il terzo, infine, considera gli adolescenti come individui che devono passare dalla dipendenza dagli adulti a una totale indipendenza.
Ora, se è vero che in questa fase della vita vi è un aumento dei livelli di alcuni ormoni (gli organi sessuali si sviluppano, ai ragazzi cresce la barba mentre alle ragazze compare il seno, e prendono forma sentimenti legati alla sessualità molto intensi) dobbiamo considerare che a determinare questa età è soprattutto il cervello: i processi cerebrali che governano il controllo cognitivo del comportamento, nell’adolescenza, infatti, non sono ancora maturi ma in via di trasformazione.
Gli adolescenti non sono, quindi, manipolatori irresponsabili che vogliono renderci la vita impossibile. Più semplicemente essi non sono in grado di comportarsi diversamente perché sono alle prese con trasformazioni neurobiologiche inevitabili. In una parola, ragionano con le emozioni.
In questa età “sconsiderata”, la presenza degli adulti è fondamentale anche perché, e questo è parte del secondo e terzo mito da sfatare, l’obiettivo dei teenager non è affatto liberarsi dai genitori che “rompono” o “non capiscono niente”: lo dicono, ma in realtà è solo una provocazione: essi si aspettano di non essere mai abbandonati. Anche gli adolescenti, infatti, sono spaventati, si sentono fragili, insicuri, in lotta con se stessi e con il mondo circostante. Hanno difficoltà quotidiane con i genitori, gli insegnanti, i coetanei. Lamentano ansie legate ai grandi cambiamenti (fisici, psicologici, relazionali) e soffrono per l’impossibilità di controllarli, non si sentono all’altezza delle situazioni e delle aspettative esterne. Sono persi in un mondo che offre loro tanti stimoli e possibilità, ma in cui non trovano riferimenti stabili.
I ragazzi sono in balia della propria sfera emotiva e non riescono a gestirla per cui esprimono con il corpo e l’azione ciò che non riescono a comunicare con le parole: alcuni scaricano questa tensione emotiva all’esterno, con ribellioni verbali e fisiche spesso violente e incontrollabili, altri la riversano su se stessi con il silenzio, la chiusura e l’isolamento. Anche i genitori, che vorrebbero aiutarli, sono spaventati. Provano lo stesso smarrimento, la stessa sensazione di incapacità e fallimento dei loro figli, perché non riescono a capirli e a comunicare con loro.
Cosa fare, allora, per gestirli ed aiutarli al meglio? Secondo gli esperti la parola chiave è immedesimazione. Per capire cosa passa loro per la testa, in primo luogo bisognerebbe ricordarci come è stata la nostra adolescenza; in secondo luogo, sarebbe utile sforzarci di metterci il più possibile nei loro panni, condividere le loro passioni.
Ma come capire se certi comportamenti a rischio sono causati solo dalla turbolenza adolescenziale o se è il momento di rivolgersi a esperti per chiedere aiuto? Nel caso in cui i comportamenti antisociali (episodi di vandalismo, furti, violenze, uso di sostanze stupefacenti o di alcolici) siano accentuati e persistenti. Soprattutto, se i problemi di comportamento cominciano già alla materna o alle elementari.
Di solito, di fronte a ragazzi problematici, la prima reazione della famiglia, ma anche della scuola, e nei casi estremi del tribunale, è colpevolizzarli. Reazioni legittime, ma secondo gli esperti, non solo non ottengono risultati, sono anche controproducenti. Bisognerebbe cercare di capire “perché” agiscono in un certo modo. Certi comportamenti, infatti, vanno subito interpretati come segnali d’allarme da prendere in esame, anche con l'aiuto di psicologi e psicoterapeuti esperti in adolescenza.
Una ricetta magica e assoluta per educarli al meglio non c'è, ma è utile riflettere su alcuni principi generali - validi per ogni aspetto della vita di un adolescente - che possono aiutare un genitore a orientarsi nella sua pratica quotidiana. In primis, non cedere a tutte le richieste: ogni adolescente dovrebbe negoziare e quindi, confrontarsi e discutere con l'adulto le sue conquiste. Se il genitore cede a ogni tipo di richiesta e dà tutto subito, senza mettere dei paletti, non ci sarà più modo di farlo successivamente. In sostanza, nella fase tra dodici-quindici anni, è molto importante che ci sia lo 'spazio' per parlare, discutere, negoziare ogni richiesta con il genitore. Quando l'adolescente ottiene qualcosa solo per imitare gli amici o in base alle sollecitazioni del consumo, il genitore ha perso completamente il suo ruolo. L'atteggiamento più corretto, invece, dovrebbe cambiare nei confronti del figlio in base alla situazione o al problema da affrontare. Un approccio sempre rigido, solo protettivo o troppo amichevole non si presta bene a ogni diverso momento della vita di un adolescente. Il genitore, insomma, dovrebbe sforzarsi di avere un approccio 'mobile'. Pensiamo all’idea di porsi davanti, di fianco e dietro a nostro figlio: tutto dipende dalla situazione che va valutata con attenzione. È importante, per esempio, stare davanti al ragazzino per proteggerlo dai pericoli che devono essere chiari per l'adulto. In questa posizione, il genitore segna un po' il percorso, dice dei 'no' e rappresenta una bussola per il figlio.
Altre volte, invece, è preferibile essere di fianco al figlio: un approccio amichevole, di tanto in tanto, è molto utile, ma non bisogna esserlo tutto il tempo e in ogni occasione. Occorre anche, in alcuni casi, che il genitore stia dietro al figlio e gli dia una spinta. Magari, perché non si sente all'altezza o non ha la forza per esplorare. In questo modo, i progressi aumentano sempre di più.
L'adolescente deve riconoscere che il genitore è su un piano sopra il suo e, allo stesso tempo, l'adulto è tenuto ad ascoltare e vedere le ragioni del figlio. Inoltre, indipendentemente dalla questione specifica in sé, è utile avere in mente una rosa di principi che dovrebbero ispirare la pratica educativa quotidiana del genitore. Eccone alcuni: