La Legge n.76, varata il 20 maggio 2016 ed entrata in vigore il 5 giugno 2020, riconosce le convivenze di fatto tra individui maggiorenni con legami affettivi e di reciproca assistenza che non abbiano alcuna unione di matrimonio, civile o di parentela.
Il 2016 ha segnato, dunque, uno spartiacque tra due modi di intendere la famiglia di fatto, cioè quella che non ha contratto il vincolo coniugale; prima di tale data, infatti, i diritti di cui godevano i conviventi erano di natura esclusivamente giurisprudenziale, poiché la legge disciplinava solo l’unione che fosse stata consacrata dal matrimonio. Con la legge Cirinnà del 2016 possiamo ufficialmente dire che la famiglia non è fondata solo sul matrimonio, ma su una comunione di vita materiale e spirituale: ragion per cui anche i conviventi (cosiddette “coppie di fatto”) godono di gran parte dei diritti riconosciuti alle coppie sposate.
Ma cosa si intende per convivenza di fatto?
Secondo la legge, per conviventi di fatto si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La convivenza di fatto tra persone dello stesso sesso o eterosessuali può essere attestata da un’autocertificazione, redatta in carta libera e presentata al comune di residenza, nella quale i conviventi dichiarano di convivere allo stesso indirizzo anagrafico. Il Comune, dopo gli opportuni accertamenti, rilascerà il certificato di residenza e stato di famiglia.
Non vi è alcun obbligo per i conviventi di presentare detta autocertificazione, in quanto la convivenza può essere provata con ogni strumento, anche con dichiarazioni testimoniali.
Quali sono i diritti e doveri dei conviventi di fatto?
La convivenza di fatto tra due persone, quando formalizzata nei modi di cui sopra, crea un nucleo familiare che, seppur diverso da quello matrimoniale, è meritevole di tutela. Nello specifico, dalla convivenza di fatto nascono i seguenti diritti e doveri:
Che differenza c’è tra convivenza di fatto e coppie di fatto?
La legge Cirinnà ha previsto che due persone che stanno insieme, se vogliono essere riconosciute dallo Stato godendo dei diritti di cui sopra, devono formalizzare la loro convivenza recandosi al Comune e adempiendo agli oneri che abbiamo visto precedentemente. In Italia, però, ci sono moltissime coppie che, pur vivendo sotto lo stesso tetto da anni, ritengono di non ufficializzare la loro unione: in pratica, non vogliono diventare conviventi di fatto. Quale regime giuridico si applicherà a costoro? Ebbene, coloro che convivono ma che non voglio registrare la propria unione in Comune continuano a rimanere una mera coppia di fatto, distinguendosi così dai conviventi di fatto per la minor tutela a loro accordata. Ed infatti, la coppia di fatto non è disciplinata da alcuna legge e, pertanto, dovrà accontentarsi della tutela che è stata loro riconosciuta negli anni dalla giurisprudenza. Vediamo quali sono i diritti e doveri dei conviventi nelle coppie di fatto non sposate.
Il più incisivo dei doveri che non spettano alle coppie di fatto è il dovere di fedeltà: il convivente tradito non può chiedere addebiti e risarcimenti di alcun tipo (carte che, ovviamente, possono essere fatte valere solo nei giudizi di separazione). L’obbligo di fedeltà, tra l’altro, non è stato previsto dalla legge Cirinnà nemmeno per le convivenze di fatto, cioè quelle ufficializzate in Comune. Possiamo quindi dire che, secondo la legge, la fedeltà è elemento indispensabile solamente per l’unione matrimoniale.
Mantenimento
Altrettanto dicasi per il diritto all’assegno di mantenimento successivo alla separazione che riguarda solo le coppie unite dal vincolo matrimoniale. Ai conviventi di fatto che si separano possono spettare al massimo gli alimenti, mentre alle coppie di fatto non spetta proprio nulla, né il mantenimento né gli alimenti. Tuttavia, con apposita scrittura privata, le parti possono concordare, a monte, per l’assunzione da parte di uno dei conviventi dell’obbligo di mantenimento dell’altro.
Reversibilità
In caso di morte del convivente, il partner superstite non può rivendicare pretese sulla pensione di reversibilità.
Tutela del patrimonio immobiliare
La coppia di fatto non può stipulare un fondo patrimoniale, destinato solo alle coppie sposate. Si potrebbe però costituire un vincolo di destinazione ed optare nel caso in cui si intendessero tutelare gli interessi di figli nati dall’unione – per l’istituzione di un trust.
Eredità e comunione dei beni
Il convivente non è un erede legittimo e non gode di un diritto ereditario. Non gli resta che sperare del testamento. In ogni caso, con il testamento si può attribuire al partner solo la quota disponibile, cioè quella porzione del patrimonio che la legge non riserva ai familiari più stretti. Allo stesso modo, tra i conviventi in una coppia di fatto non si instaura alcuna comunione dei beni.
Per ovviare a entrambi i suddetti limiti (testamento e comunione dei beni), si può ricorrere ad un normale contratto di vendita o di donazione, con cui, ad esempio, si trasferisce al partner beni o diritti, o costituire in suo favore un diritto reale di godimento.
Impresa familiare
La legge riconosce tutela, al pari del coniuge, al partner che abbia prestato la propria attività all’interno dell’impresa familiare.
Quali diritti hanno le coppie di fatto?
Possesso dell’abitazione
Se l’abitazione è di proprietà di uno dei due, egli non può sbattere fuori di casa l'altro, dall’oggi al domani. Quest’ultimo infatti vanta un diritto di possesso che non gli può essere negato. Se la casa è, invece, in affitto, con la morte dell’uno, il convivente ha diritto di subentrare nel contratto fino alla sua naturale scadenza.
Affidamento dei figli
Stesso discorso per quanto riguarda l’affidamento dei figli: non perché la coppia non è sposata, i figli non debbono essere “gestiti”, dopo la rottura, da entrambi gli ex conviventi. Il dovere di mantenimento, il diritto di visita e l’affidamento condiviso non conoscono differenza tra coppie che sono salite sull’altare e coppie che, invece, non lo hanno fatto.
Risarcimento del danno
Se uno dei due partner muore per fatto illecito altrui (per esempio un incidente stradale), il superstite ha diritto ad essere risarcito al pari di un coniuge. Non ogni convivenza, però, fonda un’azione risarcitoria: il diritto al risarcimento scatta solo se la convivenza abbia una stabilità tale da far ragionevolmente ritenere che, ove non fosse intervenuta l’altrui azione, sarebbe durata nel tempo.
Maltrattamenti in famiglia
Il reato di maltrattamenti in famiglia prescinde dall’esistenza di un matrimonio formale e, quindi, l’illecito penale scatta anche nei riguardi del partner senza la fede.
Violazione degli obblighi familiari
Versare del denaro al partner, durante la convivenza, configura, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza, l’adempimento di un’obbligazione naturale, essendo espressione della solidarietà tra due persone unite da un legame stabile e duraturo. Pertanto, è legittimo richiedere, nei confronti dell’ex convivente, il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari.