Hanno cominciato gli amministratori di Portland (USA) e di Barcellona, promuovendo rispettivamente i “20 minutes nighborhoods” e i “superblocks”; ha continuato la sindaca di Parigi Anne Hidalgo e ora vuole farlo anche il neosindaco di Roma Roberto Gualtieri: trasformare metropoli immense in “città del quarto d’ora” per migliorare significativamente la vita dei loro abitanti.
Ma che significa “città del quarto d’ora”? È semplice: avere tutto ciò che è necessario per la propria vita quotidiana (dalla scuola all’ospedale, fino al centro anziani e al lavoro) a portata di piedi, cioè a una distanza massima di un quarto d’ora dalla propria abitazione. Per molti residenti nelle grandi città, prima tra tutte Roma, questo non è altro che un sogno: eppure trasformare i grandi centri in spazi “modulari” a misura d’uomo sembra essere la sfida del secolo, anche per contenere i problemi di inquinamento prodotti da migliaia di auto in movimento ogni giorno.
La pandemia da Covid-19 e la conseguente digitalizzazione della vita hanno portato molti cittadini ed amministratori a riconsiderare il peso degli spostamenti all’interno della propria vita: nelle grandi città è stato per lungo tempo abituale adeguarsi a un modus vivendi “pendolaristico”, per cui si accettava di passare un’ora o più in auto o sui mezzi per raggiungere la palestra, il posto di lavoro o la scuola, riportando il tipico “stress del pendolare”. Ora c’è chi, in un generale clima di riaperture, si batte per continuare a lavorare o a studiare da remoto, proprio per non tornare a vivere in un simile, usurante tran tran.
Le città del quarto d’ora saranno, a livello di obiettivi, delle città più vivibili e coese (aumento dei contatti tra vicini, sparizione dei quartieri-dormitorio, spazi di coworking) ma anche più “green” (diminuzione delle emissioni prodotte dalle auto dei pendolari) e soprattutto meno frenetiche, visto che per soddisfare ogni necessità sarà possibile impiegare tempi più brevi.
Il modello delle città del quarto d’ora non dovrebbe essere assunto solo dalle metropoli: anche e soprattutto i piccoli centri (che sono tornati a volte a ripopolarsi in tempo di pandemia) meriterebbero la presenza di tutti i servizi utili in loco, poiché è proprio l’assenza di tali comodità che ha spinto in passato molti paesani ad allontanarsi verso località più “vive”.
Puntare su questa impresa non dovrà significare, naturalmente, rinunciare a un sistema di trasporto pubblico efficace che potrà indurre sempre più cittadini e più paesani ad abbandonare, per quanto possibile, l’uso dell’automobile.
In molti casi, le “città del quarto d’ora” sono solo un modello, un’astrazione ideale e lontana: si riuscirà davvero a realizzarle?