Di fronte allo sconforto della bambina Kafka si offre di aiutarla a cercare la sua bambola e le dà appuntamento per il giorno seguente, nello stesso posto. Incapace di trovarla scrive una lettera – da parte della bambola – e la porta con sé quando si rincontrano. “Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…”, così cominciava la lettera.
Così iniziò una storia che proseguì fino alla fine della vita di Kafka. Quando lui e la bambina si incontravano, lui leggeva le lettere della bambola accuratamente scritte con avventure e conversazioni che la piccola trovava adorabili. La bimba ne fu consolata e quando i loro incontri arrivarono alla fine, Kafka le regalò una bambola nuova, che aveva acquistato, fingendo che fosse tornata a Berlino. “Non assomiglia affatto alla mia bambola”, disse la bambina. Era ovviamente diversa dalla bambola perduta, quindi Kafka le consegnò un’altra lettera in cui la bambola scriveva: “I miei viaggi mi hanno cambiata”.
La bambina abbracciò la nuova bambola e la portò tutta felice a casa. Un anno dopo Kafka morì. Molti anni più avanti, la bambina, divenuta adulta, trovò un biglietto nascosto dentro la bambola ricevuta in dono. Nella minuscola lettera firmata da Kafka c’era scritto: “Tutto ciò che ami probabilmente andrà perduto, ma alla fine l’amore tornerà in un altro modo”.
Era il 1924, Kafka sarebbe morto quell’anno stesso. Ecco la preziosa memoria lasciata scritta da Dora Diamont, la sua compagna: “Quando eravamo a Berlino, Kafka andava spesso allo Steglitzer Park. Talvolta lo accompagnavo. Un giorno incontrammo una bambina, che piangeva e sembrava disperata. Le parlammo. Franz le chiese che cosa le fosse successo e venimmo a sapere che aveva perso la sua bambola. Subito lui si inventò una storia plausibile per spiegare la sparizione. “La tua bambola sta solo facendo un viaggio, io lo so, mi ha scritto una lettera”. La bambina era un po’ diffidente: “Ce l’hai con te?” “No, l’ho lasciata a casa, ma domani te la porto”. La bambina, incuriosita, aveva già quasi scordato le sue preoccupazioni, e Franz se ne tornò subito a casa, per scrivere la lettera. Si mise al lavoro in tutta serietà, come si trattasse della creazione di un’opera. Era nella stessa condizione di tensione in cui si trovava non appena si sedeva alla scrivania o stava anche solo scrivendo a qualcuno. Tra l’altro, si trattava effettivamente di un vero lavoro, essenziale al pari degli altri, perché la bambina doveva assolutamente essere resa felice e preservata dalla delusione. La menzogna doveva dunque essere trasformata in verità attraverso la verità della finzione. Il giorno successivo portò la lettera alla bambina, che l’attendeva al parco. La bambola esprimeva il desiderio di cambiare un po’ aria, in una parola, voleva separarsi per qualche tempo dalla bambina, cui per altro voleva molto bene. Prometteva tuttavia di scrivere ogni giorno – e Kafka scrisse effettivamente una lettera ogni giorno, raccontando di sempre nuove avventure, le quali, seguendo il particolare ritmo vitale delle bambole, si snodavano in modo rapidissimo. Dopo alcuni giorni, la bimba aveva scordato la perdita reale del suo giocattolo e pensava solo e semplicemente alla finzione che le era stata offerta come sostituto. Franz scrisse ogni frase di quella sorta di romanzo in modo così accurato e pieno d’umorismo che la situazione della bambola risultava perfettamente comprensibile: era cresciuta, era andata a scuola, aveva conosciuto altre persone. Rassicurava sempre la bimba del suo amore, ma alludeva anche a complicazioni della sua vita, ad altri doveri e altri interessi che, al momento, non le permettevano di riprendere la vita in comune. La piccola veniva pregata di riflettere sulla cosa e veniva così preparata all’inevitabile rinuncia. Il gioco durò come minimo tre settimane. Franz aveva una paura terribile al pensiero di come avrebbe potuto finire il tutto. Perché la fine doveva essere una vera fine plausibile, vale a dire che doveva consentire all’ordine di sostituire il disordine causato dalla perdita del giocattolo. Cercò a lungo e decise alla fine di far sposare la bambola”.
Franz aveva risolto il piccolo conflitto di un bambino attraverso l’arte, attraverso il mezzo più efficace di cui disponeva personalmente per riportare ordine nel mondo.
Questa bella storia parla di una bambina e di una perdita, con un conseguente e inevitabile distacco, che la protagonista riuscirà a superare grazie alla fantasia di Franz Kafka, scrittore di fama internazionale, che, con l’espediente della lettera, le farà accettare la separazione dalla bambola amata.
La vita è piena di momenti in cui ci si deve confrontare con esperienze e ostacoli che sembrano difficili da superare. Eppure, le difficoltà, che appaiono insuperabili in sé, sono delle lezioni di vita che modificano la nostra anima e spesso anche la nostra vita. Molte volte si tratta di esperienze dure da accettare ma, alla fine, portano comunque a lezioni di vita positive.
Sono molti a pensare che il distacco sia qualcosa di costruttivo, visto soprattutto come un momento di crescita interiore, un’occasione per raggiungere una maggiore consapevolezza di sé. Lungi dall’essere una rimozione dei propri vissuti emotivi, esso diventa quindi uno strumento di analisi interiore, di ciò che accade dentro e fuori di noi, ma anche capacità di lasciarsi completamente andare mantenendo sempre e comunque il controllo di ciò che accade.