La fine di un amore, se non affrontata nel modo giusto, può trasformarsi da una situazione di passaggio in una pericolosa stasi esistenziale, nella quale il passato ci immobilizza, condizionando pesantemente le nostre vite. Ovviamente ogni separazione comporta una sofferenza e sarebbe impossibile accadesse il contrario: spesso poi, al dolore per ciò che non c’è più si aggiungono rimpianti e recriminazioni, che acuiscono il senso di fallimento personale, causando a volte ansia e depressione. Certo, bisogna sapere che la separazione richiede sempre un certo tempo di metabolizzazione, simile alla convalescenza dopo una brutta malattia. Ma quando questo periodo si allunga a dismisura e finisce per diventare la nostra sola dimensione esistenziale, allora significa che qualcosa non va: quella sofferenza non è più naturale, ma si è trasformata in un prodotto del nostro sguardo. Se il dolore diventa cronico o paralizzante, il problema è mentale.
L'illusione della pausa di riflessione
È quello che succede a Caterina che, dopo una convivenza di quasi dieci anni, ha deciso per la separazione dal compagno, al termine di un lungo periodo di liti e insoddisfazioni reciproche, per prendersi la classica "pausa di riflessione". Caterina sperava che, allontanandosi, avrebbe dato la scossa a una relazione che sentiva ormai spenta. Come spesso succede in questi frangenti, accade invece che Caterina incontri un altro uomo che le piace molto: si sente finalmente attratta da qualcuno, di nuovo viva e vitale. Che fare? Combattuta tra la paura di innamorarsi di un altro e quella di perdere definitivamente il compagno "storico", non sa più che fare e si tormenta nel dubbio.
In superficie, i suoi tormenti sembrano legittimi, ma nel profondo non è così. Quando incontriamo qualcuno che ci colpisce, significa che la nostra anima è pronta a evolvere, a rimettersi in gioco dopo un lungo periodo di stasi. Le domande che si fa Caterina sono tutte legate al passato, e quindi sono zavorre. Al contrario, le sensazioni la ancorano al presente. La risposta giusta è nella spontaneità di quel che prova, non nei pensieri e meno che mai nelle domande: solo agendo come sente, senza farsi frenare dai ragionamenti, Caterina potrà comprendere quali desideri alberghino davvero nel profondo della sua anima.
Mi innamorerò ancora?
Anche Gianfranco ha lo sguardo fisso su quello che è stato e così non riesce a vedere quello che potrebbe arrivare. Alla soglia dei 60 anni si è separato dalla moglie. Pur avendo un buon rapporto con i figli e un lavoro che lo gratifica, non è felice: si chiede se sarà ancora capace di innamorarsi, dopo tutto il tempo trascorso. Ma è proprio così? No: l’amore che si prova a vent’anni, straripante di energia e quindi molto fisico è differente da quello dei cinquanta o sessant’anni, ma non è necessariamente migliore. L'amore della maturità vive di conoscenza e profondità più che di ideali (tipici della giovane età), di autonomia più che di dipendenza reciproca.
Quel che si perde in ardore, si guadagna in consapevolezza.
Al contrario, credere che il sentimento non possa più arrivare è solo una forma di difesa che la mente adotta per tenere lontana ogni possibile sofferenza dal cuore. Così facendo, ci si chiude anche alla possibilità di gioire di nuovo. Allontanarsi dai luoghi comuni, ripartire da noi stessi e dai nostri interessi, cercare nuovi stimoli: ecco le strade maestre per rendersi conto che abbiamo ancora molto da offrire e da ricevere dalla vita, amore compreso.
La risposta è nello sguardo
La differenza tra una separazione che finisce e una che si trascina oltremisura è dunque una questione di sguardo. Un occhio incapace di spostarsi da quello che è stato a quello che sarà, ci imprigiona. Uno capace di proiettarsi lontano, ci libera. Essere allineati con gli accadimenti della vita non sgombrerà il campo dalla sofferenza, ma farà in modo che essa duri solo il tempo che le serve e che ci serve per riprendere il cammino, anche nella direzione dell'amore.