Le sei azioni liberatrici sono un insegnamento della filosofia buddista. Come le altre religioni e filosofie, ma forse di più, il buddismo cerca infatti di migliorare la vita dei suoi adepti non solo a livello ideale, ma anche pratico. Ecco perché ha elaborato una serie di dettami utili a migliorare la vita di ogni giorno, i quali possono essere presi come ispirazione anche da chi non è religioso: sono infatti un vero e proprio patrimonio di sapienza comune.
Le azioni liberatrici si chiamano Paramita e sono l’ultimo stadio di un percorso che inizia con l’adozione di una vita salutare e l’apprendimento dell’arte della concentrazione. Paramita, parola composta, significa letteralmente andare (“ita”) oltre (“param”): l’idea è tramutare la salute fisica e mentale raggiunta con la dieta e l’esercizio in qualcosa che può essere diffuso nella coppia o nella comunità, contagiando positivamente gli altri. Dunque, non c’è solo una liberazione individuale ma la conquista è collettiva.
In amore, le azioni liberatrici potrebbero rappresentare l’inizio di quel percorso che si intraprende quando finisce l’innamoramento, cioè l’instaurazione di un legame solidale, stabile e profondo.
Vediamo quali sono secondo il buddismo le sei azioni liberatrici:
Ai tempi di Gautama Buddha, nell’India del quarto secolo a.C., la generosità era un fatto essenzialmente pratico: significava aiutare gli altri a sopravvivere fornendo cibo o assistenza. Per questo quella che noi oggi consideriamo una virtù astratta era per lui solo un primo passo concreto verso qualcosa di superiore. Nel nostro mondo occidentale, la generosità è ben altro: assistere chi ha bisogno con un sorriso o un abbraccio e donare il proprio tempo per ascoltare gli altri. Essere generosi oggi non è affatto più facile che un tempo, anzi: richiede un dispiegamento di energie mentali di tutto rispetto. In ogni caso, anche i “fioretti” della cristianità o “la buona azione quotidiana” degli scout sono idee simili e orientate allo stesso risultato: fare una buona azione al giorno, per quanto piccola, è alla lunga pacificante e liberatorio.
I buddisti di oggi non amano utilizzare il termine che Gautama Buddha aveva dettato a suo tempo, cioè “moralità”, per la seconda Paramita. In effetti la parola “moralità”, oggi, si presta spesso all’equivoco e tende a dare l’idea di qualcosa di polveroso, stantio. L’autodisciplina etica, a differenza della generosità, è un’azione puramente mentale: riguarda l’astenersi da comportamenti individuati come distruttivi, esercitando una forma di controllo su se stessi. Vietarsi di scivolare in comportamenti ai quali ci si sente inclini ma che si riconosce essere sbagliati, autoimponendosi rinunce gratificanti, potrebbe essere parte della via di liberazione interiore ed esteriore. Degli esempi? Imporsi di non fumare, perché no; vietare a se stessi di utilizzare certe parole quando si è arrabbiati, eccetera.
Se già la seconda azione liberatrice richiede un discreto sforzo, la terza non è da meno. Avere pazienza sopportando con calma le difficoltà pratiche o le mancanze altrui è davvero difficile. Per questo Buddha, uomo pratico, suggerisce di cominciare intanto nell’esercitare la pazienza su di sé. Il modo per farlo è la cosiddetta meditazione analitica: ci si siede e si ragiona, concentrandosi senza distrarsi, sulle difficoltà che si stanno attraversando; si soppesano i pro e i contro; si trovano soluzioni placando le proprie angosce. Sembra facile? Non tanto… Anche gli psicologi moderni suggeriscono, quando si sta attraversando per esempio una delusione sentimentale, di dedicare un’ora al giorno e solo una a concentrarsi sul proprio dolore. Stare per un’ora intera focalizzati sul proprio malessere e non pensarci più per tutto il resto della giornata è un esercizio complesso, ma per fortuna non impossibile, che può dare ottimi risultati allentando nel tempo anche le tensioni più grandi.
La perseveranza è una qualità liberatrice perché, mentre allena a portare a termine i propri obiettivi, allenta la gabbia delle false motivazioni per cui “è impossibile che io ce la faccia”. È solo grazie alla tenacia che le sei azioni liberatrici possono mostrare il loro potere! Logicamente si parte dalle cose piccole, che poi sono le più difficili. Essere costanti nella generosità o nell’autocontrollo è già un enorme obiettivo.
Le religioni orientali sono famose per la loro dimensione meditativa, ma non dimentichiamo che anche il cristianesimo fino a qualche secolo fa dava una grandissima importanza a questo aspetto! Perché la meditazione è importante? Perché ha a che fare con il “sentirsi vivere”, dunque con la consapevolezza. Meditare significa disegnare, lavorare, fare l’amore mettendo tutto di sé nel disegno, nel lavoro e nel sesso, senza pensare ad altro. Non c’è da aspettarsi un’illuminazione astratta ma una sensazione molto più bella: quella di vivere non in sogno, ma da svegli, stando completamente nelle azioni che si svolge e non lasciando che la mente divaghi.
La saggezza è per Buddha una sorta di azione, e non solo una conquista. Quando le altre sei azioni liberatrici diventano naturali, spontanee, parte della persona essa può approdare a una coscienza superiore, una natura aggiunta alla natura, in grado di guidarla nelle sue nuove azioni, che saranno certamente positive e benefiche.
La sapienza buddista è molto affascinante, e certamente contiene delle ispirazioni preziose. Riconnettere il pratico con l’immaginario e il corporeo con il mentale è una grande sfida che, quando è vinta, porta una grande pace nella vita personale.